SEMPLIFICAZIONI E DEREGULATION
Il decreto semplificazioni del Governo Draghi è ancora in bozza. Ma, è già chiaro che, dietro le migliori intenzioni, decreterà un delitto perfetto ai danni della sola legislazione di tutela. Sempre che il magistrale intervento del Presidente della Repubblica non serva in extremis a fermare la mano degli assassini.
Gli Amici della Terra si sono sempre ribellati all’idea che l’ambiente e le regolamentazioni ambientali fossero rappresentate come una causa dell’immobilismo del paese. Anzi come la prima causa.
Una narrazione del tutto illogica e contraria ai fatti a cui altri ambientalisti si sono spesso prestati per insipienza o per ideologia. In qualche caso, il mito del blocco ambientale è servito a far valere un certo potere di ricatto verso la politica e l’industria: “se non ci favorite, vi indichiamo come sporchi inquinatori”, un modo spregevole, aiutato dalla scarsa diffusione della cultura tecnico scientifica che, tuttavia, costituisce anch’esso un fenomeno tutto politico, ideologico e propagandistico, con cui la normativa e le istituzioni di tutela ambientale hanno poco a che fare.
Il mito del “blocco per motivi ambientali”
In realtà, il mito del “blocco per motivi ambientali” ha creato danni incalcolabili all’immagine del paese e ha costituito l’alibi perfetto per coprire l’inettitudine della politica e il malfunzionamento della giustizia civile.
Le politiche ambientali e di tutela si sono imposte in Italia con un certo ritardo rispetto ad altri paesi avanzati a partire dagli anni ’80, per colmare un evidente vuoto normativo che – quello sì! – rischiava ormai di bloccare ogni iniziativa imprenditoriale sul nascere. L’assenza di parametri oggettivi per le emissioni, l’inesistenza degli organi preposti ai controlli, la concorrenza sleale di chi si affidava a pratiche disinvolte o improprie, la difformità e l’arbitrarietà dei comportamenti della pubblica amministrazione nei territori, oltre a rendere ardue le attività produttive hanno contribuito in modo determinante al clima di diffidenza verso l’industria e l’imprenditoria in generale e alla sfiducia verso la politica e l’amministrazione, condizioni che ancora pesano sullo sviluppo del paese.
La carenza dei servizi infrastrutturali indispensabili, che continua a penalizzare il Mezzogiorno, non è certo dovuta all’eccesso di burocrazia creata dalle normative ambientali. Semmai è il contrario. Pensiamo, per esempio, ai rifiuti: è proprio la pervicace inadempienza delle normative ambientali da parte della politica locale (e di quella centrale che rinuncia sistematicamente a esercitare i poteri sostitutivi) ad ostacolare servizi e impianti che potrebbero sbloccare davvero gli investimenti produttivi.
Un alibi abbastanza comodo
Diciamo piuttosto che le politiche ambientali hanno costituito un alibi abbastanza comodo per scansare responsabilità politiche, per offuscare inadempienze, per mascherare inadeguatezze e, in modo residuale, per consentire a qualche mascalzone di nascondere le proprie furbizie o incapacità dietro la lagna che “in questo paese, gli ambientalisti ti bloccano”.
Lo stesso potere di veto delle Sovrintendenze, tanto vituperato in questi giorni, rappresenta una cautela di carattere straordinario, doverosa in un paese ricco di bellezze come il nostro. Se, in talune situazioni, appare insopportabile, è perché gli strumenti ordinari di tutela - che darebbero maggiori certezze anche allo sviluppo produttivo del territorio - a distanza di decenni, non sono mai stati attuati.
In un’intervista di qualche settimana fa, il Presidente della Commissione VIA, Atelli ha spiegato chiaramente che i ritardi di cui la Commissione era accusata sono inesistenti e che, semmai, sono dovuti alla volontà di non bocciare progetti malfatti, consentendone un recupero attraverso prescrizioni e riesami.
Fatto sta che, finché a subire le conseguenze di inadempienze reali coperte da un alibi falso erano i portavoce di industriali, petrolieri, cementieri, inceneritoristi eccetera, quelli – per capirci – cattivi per definizione, nessuno si è stracciato le vesti.
La lobby dell’eolico e del fotovoltaico industriale
Ora però, questa falsa narrazione confligge direttamente con la lobby dell’eolico e del fotovoltaico industriale. Potentissima, per tante ragioni storiche e strutturali, visto che lo sviluppo di queste fonti è raccomandato – non esattamente imposto, ma quasi – dall’Europa e dagli accordi internazionali sul clima.
La lobby annovera fra i suoi nuovi membri le più grandi aziende del paese che hanno dovuto convertirsi velocemente a questo tipo di produzione dell’energia: sì, proprio coloro che erano additati come “nemici dell’umanità” in quanto utilizzatori di fonti fossili, oggi sono campioni del vento e del sole.
Rendite miliardarie
Ma il potere maggiore della lobby deriva oggi, soprattutto, dall’enorme capitale costituito dalle rendite miliardarie che gli abbiamo assicurato con le sciagurate politiche di incentivazione delle rinnovabili elettriche intermittenti adottate per raggiungere gli obiettivi europei del 20 -20 -20: 230 miliardi di euro, in parte già versati e in parte da versare ancora nei prossimi 10 anni. Il più grande investimento del dopoguerra, pagato dagli utenti dell’energia elettrica direttamente in bolletta, per ottenere risultati infimi: la copertura del 3% dei consumi energetici attraverso una fornitura elettrica intermittente e non programmabile.
Questa rendita, comunque, rende confortevole “montare la panna” delle fonti rinnovabili – che rinnovabili non sono a causa del devastante impatto sulle risorse minerarie e sul consumo di suolo, come L’Astrolabio ha lungamente spiegato – oltre ogni limite. Rapporti privilegiati con la stampa e con gruppi di opinione, capacità di influenzare la società, l’Università, la politica, l’impresa. L’impianto di pale e di pannelli è ormai considerato attività meritoria nella società, tanto da fregiarsi degli elogi delle istituzioni e, persino, da tacitare le inchieste sulle infiltrazioni mafiose in molti di questi “affari”.
Dov’è l’antimafia militante?
Le intercettazioni in carcere del vecchio capomafia Riina che, parlando del suo successore Matteo Messina Denaro, ancora latitante, diceva “iddu pensa sulu a li pali pi fari i picciuli”, avrebbero stroncato qualsiasi impresa, qualsiasi opera pubblica, in un paese imbottito di retorica antimafia anche oltre il necessario. Ma non i nostri eroi che, infatti hanno continuato a massacrare i territori della Sicilia, della Calabria e di tutto il Mezzogiorno con ben pochi limiti. Altro che “veti delle Sovraintendenze”.
Tuttavia, gli abusi dovuti allo strapotere, anche in questo caso, stanno cominciando a creare degli intoppi. Le popolazioni interessate da questi insediamenti non ci stanno più a subire passivamente la perdita di paesaggio, di natura, di silenzio. Guarda caso questi non sono solo elementi per lo spirito e per la cultura, sono fattori concreti di reddito. Per imprese di agriturismo, per attività agricole e artigianali, per le stesse rendite catastali degli immobili residenziali.
Il tentativo grottesco di dire che le pale sono belle come le cattedrali gotiche e gli acquedotti romani – come continua a fare il presidente di Legambiente Ciafani - e che, sotto i pannelli, fra i plinti di cemento, possiamo coltivare i carciofi, può servire ad imbonire gli abitanti delle città, quelli che nella natura ci vanno la domenica, in macchina. Chi abita e lavora in questi luoghi, che sono stati a lungo abbandonati e ignorati per i servizi fondamentali, non si fa infinocchiare da questo improvviso, peloso, interesse.
L’attuazione del Recovery Fund
Ma è proprio a questo punto che interviene un elemento che nemmeno la lobby avrebbe osato sperare in tempi normali. L’attuazione del Recovery Fund, di cui l’Italia stremata dalla crisi, dal Covid 19 e dal debito pubblico ha disperato bisogno, è condizionata dai nuovi obiettivi di riduzione della Co2 stabiliti, in un crescendo irrealistico, da una rappresentanza politica europea che ha scelto l’emergenzialismo irresponsabile come proprio carattere prevalente.
Il caso vuole che sia proprio il miglior presidente del Consiglio che potessimo augurarci, insieme a uno dei più competenti tecnologi che ci sia mai capitato come ministro dell’ambiente a trovarsi nella condizione di attuare il redde rationem della deregulation ambientale.
La falsa narrazione del “blocco ambientale” diventa un mantra su tutti gli organi di stampa e si specializza: colpevoli sono le Sovraintendenze, il Ministero della cultura, i Tar. Il Governo è messo con le spalle al muro: questa volta, la cosiddetta “semplificazione” non dev’essere indolore. Devono cadere delle teste. Per fortuna siamo ancora in campo metaforico. Ma, anche se si tratta di abbattere “solo” dei poteri, guarda caso, la scelta su quelli da abbattere cade proprio sulle tutele territoriali.
Per anni, progetti imprenditoriali di tutto rispetto, collocati rigorosamente all’interno di aree industriali, sono stati bloccati pretestuosamente dai comportamenti di una classe politica imbelle e codarda che ha sventolato qualche bizzarra contestazione ambientale come alibi alle proprie inadempienze. Tutto fa pensare che questi blocchi non saranno rimossi.
Arrivano i Nostri
Ora, l’intervento magistrale del Presidente Mattarella su Vanity Fair, proprio a proposito delle parti del decreto Semplificazioni relative alle fonti rinnovabili, ricorda a tutti che la tutela del paesaggio non è un’attività come un’altra ma rappresenta “una delle missioni della Repubblica più proprie, pubblica e inalienabile per dettato Costituzionale e per volontà di una identità millenaria”. Ci auguriamo che questo intervento abbia un esito decisivo non solo sul decreto ma su ogni fase dell’attuazione del PNRR.
Altrimenti, a partire dal decreto semplificazioni, avremo dato avvio alla più grande trasformazione di aree naturali e agricole in zone industriali che sia mai stata immaginata. La trasformazione territoriale più impattante di sempre, attraverso macchine gigantesche di acciaio e cemento e laghi di silicio. Tutto questo per un risultato risibile, incerto, non risolutivo del nostro futuro. E – al danno si aggiunge la beffa – in nome dell’Ambiente.
L’alibi è stato perfezionato. Il delitto è perfetto.