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2024-12-11 07:31

Storia del Monte Nuovo, l’Ultima Eruzione dei Campi Flegrei

LA STORIA DEI CAMPI FLEGREI

di: 
Giulia Francisconi, Micol Todesco e Cecilia Ciuccarelli

Ripubblichiamo dal Blog INGVvulcani, un canale di comunicazione dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, questo interessante articolo del 2019 in cui le autrici ricostruiscono la storia dell’eruzione del 1538 del Monte Nuovo, all’interno della caldera Flegrea, attraverso i racconti dei testimoni dell’epoca.

Quando un’eruzione vulcanica avviene in un’area densamente popolata, le conseguenze possono essere gravi, anche se si tratta di piccoli eventi. Una buona conoscenza dei fenomeni eruttivi e del loro impatto resta uno dei migliori strumenti che abbiamo per difenderci, consentendoci di elaborare strategie per mitigare gli effetti che questi eventi possono avere sulle nostre comunità. Per questo motivo, l’eruzione del Monte Nuovo del 1538, l’ultima avvenuta all’interno della caldera Flegrea e l’unica avvenuta in epoca storica, per la quale siano disponibili i racconti scritti dei testimoni, riveste un grande interesse nell’ambito degli studi vulcanologici. La ricostruzione di un’eruzione come questa può essere a più voci, basata su studi geologici, vulcanologici e petrologici e sull’analisi attenta di documenti e fonti storiche. Senza approfondire i principali aspetti vulcanologici, in questo articolo racconteremo le informazioni basate sui documenti storici.

 

La ricerca storica 

L’eruzione del Monte Nuovo è stata studiata nel dettaglio da un punto di vista geologico, ma per comprenderne meglio l’evoluzione, recentemente la ricerca storica ha messo in luce preziosi testi anche manoscritti mai studiati prima (Guidoboni e Ciuccarelli, 2011). Questi documenti consentono di integrare quello che per decenni era stato il contributo più significativo pubblicato nel 1944-45 da Antonio Parascandola. Professore di mineralogia e geologia agraria presso l’Università di Agraria di Portici. Parascandola aveva ricostruito l’eruzione di Monte Nuovo combinando i dati derivanti da alcune fonti storiche edite con quelli raccolti da analisi di terreno.

L’eruzione del 1538 suscitò grande curiosità e interesse tra i contemporanei ed è menzionata in moltissimi testi, a partire dalla metà del XVI secolo in poi, a causa dell’assoluta eccezionalità e imprevedibilità dell’evento, ma anche per l’unicità dell’area interessata: si tratta dei Campi Flegrei, una regione celebrata e frequentata con continuità sin dall’antichità per la bellezza dei luoghi e per il termalismo, che nel corso del medioevo si era sempre più specializzato con stabilimenti, ospedali e perfino l’affermazione di una vera e propria scuola medica a Pozzuoli. Documenti amministrativi istituzionali ed ecclesiastici, dispacci e lettere diplomatiche, lettere private, cronache, relazioni e avvisi a stampa in forma di lettera, trattati naturalistici, resoconti di viaggio sono le testimonianze emerse dalla ricerca storica in archivi e biblioteche.

L’evento fu visto e descritto da diversi punti di osservazione: Pozzuoli, Napoli, dall’area sottostante il nuovo cratere, o dal mare, come fece il genovese Ambrogio Curia, proprietario di una nave ormeggiata nel golfo di Pozzuoli.

La formazione culturale e la curiosità personale di chi descrisse l’evento portarono ognuno dei testimoni a porre l’attenzione su aspetti particolari. Ci fu chi – è il caso di due anonimi giovani, forse novizi di conventi napoletani – scrisse delle lettere già il giorno dopo l’evento e raccontò il momento dell’eruzione. Altri, come l’editore milanese Francesco Marchesino e il finanziere fiorentino Francesco Del Nero, cognato di Niccolò Machiavelli, momentaneamente a Napoli per motivi di lavoro, aspettarono qualche giorno e riferirono sia i preziosi racconti degli abitanti di Pozzuoli, che erano andati a mettersi in salvo in città, sia le loro personali osservazioni durante le escursioni vicino al nuovo cratere (figura 1).

Figura 1 – Prima pagina della versione a stampa pubblicata anonima, della lettera scritta da Francesco del Nero, rarissima stampa conservata alla Bayerische Staats bibliothek di Monaco di Baviera.

 

Infine, alcuni eruditi e naturalisti, sempre testimoni diretti dell’evento, ragionarono più a lungo sull’eruzione, lasciandoci testimonianze più strutturate. A loro si devono interi trattati sull’eruzione, che inquadrano le osservazioni dell’evento all’interno delle teorie interpretative del tempo. Tra questi testimoni particolari, ricordiamo il medico e filosofo napoletano Simone Porzio (1497-1557), autore di tre testi sull’eruzione, che osservò i fenomeni e cercò di spiegarli con le concezioni aristoteliche; l’erudito ecclesiastico Marco Antonio Delli Falconi e il medico e trattatista spagnolo Pietro Giacomo da Toledo.

Lo studio approfondito di tutte queste fonti storiche, molte delle quali inedite, ha portato a rivedere con metodo critico lo svolgimento cronologico dei fenomeni, anche in riferimento agli eventi che hanno preceduto e seguito l’eruzione del 1538, le crisi sismiche e i movimenti bradisismici.

 

I fenomeni precursori

Quali fenomeni si verificarono in area flegrea negli anni precedenti l’eruzione? Una ricostruzione di quanto è avvenuto è possibile grazie a diverse testimonianze scritte nel corso di vari decenni. Queste fonti raccontano diversi fenomeni che ben si inquadrano nel contesto vulcanologico dell’area, come l’occorrenza di terremoti, l’incremento dell’attività fumarolica, o la deformazione del suolo.

Già a partire dal 1470 si verifica una crisi sismica che si protrae per un paio d’anni, con eventi in grado di causare danni agli edifici. Questa attività si accompagna ad un aumento delle emissioni gassose alla Solfatara, altro cratere dei Campi Flegrei, a causa delle quali la vegetazione viene danneggiata. La sofferenza della vegetazione, spontanea e coltivata, attorno al cratere della Solfatara è un’informazione interessante, che può indicare un’estensione dell’area esalante verso zone inizialmente libere dal gas.

Nei decenni successivi, il sollevamento del suolo è tale da fare emergere dal mare porzioni di territorio precedentemente sommerso: questo rende necessari ben due editti dei viceré di Napoli, nel 1503 e nel 1511, per l’attribuzione al demanio delle nuove terre su cui si estesero le attività antropiche della comunità di Pozzuoli. Negli anni precedenti a questi editti vengono poi segnalati diversi terremoti di intensità sufficiente a causare danni.

Nel biennio precedente l’eruzione l’attività sismica a Pozzuoli divenne progressivamente più frequente e l’intensità delle scosse crebbe con il passare del tempo, tanto che alla vigilia dell’eruzione moltissimi edifici della città erano gravemente danneggiati e tutti gli abitanti avevano da tempo abbandonato le loro case, circostanza che in seguito evitò vittime o ferimenti di persone. Le fonti testimoniano anche un ulteriore aumento delle emissioni gassose in Solfatara, senza però menzionare effetti sulla vegetazione.

Nel corso dell’estate del 1538, l’attività sismica si intensifica, interessando anche Napoli oltre che Pozzuoli. L’intensità aumenta in modo eccezionale negli ultimi dieci giorni prima dell’eruzione, quando le fonti riportano che il suolo si scuoteva continuamente e a Napoli venivano percepiti da 5 a 10 terremoti al giorno.

Poco più di 30 ore prima dell’eruzione, viene osservato un fenomeno descritto come il disseccamento del mare, fra il lago di Averno e il Monte Barbaro. Interpretato dai naturalisti dell’epoca come un “riassorbimento” del mare, il fenomeno si può verosimilmente imputare ad un sollevamento di un tratto del fondale marino ad alcune decine di metri dalla costa, associato a una sismicità intensissima (figura 2).

Figura 2 – Il Monte Nuovo rappresentato nel frontespizio del testo di Marco Antonio delli Falconi, dedicato all’eruzione. È evidente la scritta Termine del mare de prima a indicare dove si trovava la linea di costa prima dell’evento.

 

La deformazione del suolo lascia all’asciutto, su fondale emerso, una grande quantità di pesci, che alcuni abitanti di Pozzuoli andarono a vendere nei mercati di Napoli. Le cause esatte di questa moria di pesci non sono note. Si può ipotizzare che la rapidità del sollevamento abbia intrappolato i pesci fuori dall’acqua; oppure che la morte sia stata dovuta alla presenza di gas vulcanici che, filtrando attraverso il fondo del mare, potrebbero aver alterato le condizioni dell’acqua.

Nelle ore successive, l’area dove sarebbe poi sorto il Monte Nuovo subisce uno sprofondamento stimato in circa 4 metri, alla base del quale si forma una sorgente d’acqua. Tre ore dopo, il suolo torna a sollevarsi e nel corso di più di 7 ore forma un esteso rigonfiamento, al culmine del quale si aprirà la bocca eruttiva.

 

29 settembre 1538, l’eruzione

L’eruzione comincia un’ora e mezza dopo il tramonto del sole, intorno alle 19:30 (ora locale) del 29 settembre 1538 con un fortissimo terremoto e l’apertura di una bocca eruttiva sul fondale marino, in corrispondenza di Tripergole, una piccola località termale distante circa 3 km da Pozzuoli (figura 3). Un testimone diretto ha descritto il fenomeno come un enorme fulmine accompagnato da un’esplosione di vapori. Nella mezz’ora successiva, dal mare le “fiamme” avanzano fino all’altura formatasi nelle ore precedenti, sulla cui sommità si apre la bocca principale.

Figura 3 – Il bagno termale e la piccola località di Tripergole, dove avvenne l’eruzione del 1538, rappresentato in una miniatura del XIV secolo (Bibliothèque Nationale de France). 

 

Questa progressione, che sembra indicare un evento fissurale che inizia a mare e si propaga fino alla costa, è riportata in modo coerente da sei fonti distinte. Mancano, tuttavia, riscontri geologici a conferma della presenza di una eruzione fissurale e di bocche eruttive sottomarine, collegate a questa eruzione.

Dalla bocca eruttiva principale comincia una intensa attività di espulsione di materiali incandescenti di varia tipologia: pomici di varie grandezze che ricadono fino a una distanza di circa 8 km dal cratere principale, tanto che in mare le imbarcazioni avanzano su una vasta superficie di pomici galleggianti. Una vischiosa cenere bagnata e pesante, simile per consistenza al fango, cade fino a Napoli, mentre ceneri asciutte e progressivamente più sottili vanno a ricoprire una vasta area di circa 10.000 chilometri quadrati.

Secondo i racconti, l’eruzione prosegue con attività intermittente e l’apertura di diverse spaccature nella terra, piene di materiale incandescente ben visibile agli osservatori (figura 4). Viene anche descritta l’apertura di un cratere minore, vicino al lago di Averno, il 2 ottobre 1538, mentre altre “fosse” si formano nel pomeriggio del giorno successivo.

Figura 4 – Rappresentazione dell’eruzione del 1538, nota come disegno del Maestro del Trabocchetto, pubblicato in una stampa coeva: anche in questa testimonianza grafica l’autore specificò che il monte, almeno in parte era sorto sul fondale marino (Monte fatto di novo in mare).

 

Con il passare dei giorni l’attività eruttiva diventa sempre più intermittente e moltissime persone di qualunque ceto sociale e gruppi anche molto numerosi di curiosi si avvicinano sempre di più all’area dell’eruzione, via mare e via terra per osservare il fenomeno. Ed è proprio nell’ultima ripresa dell’attività eruttiva, avvenuta nel pomeriggio del 6 ottobre, sette giorni dopo l’inizio dell’evento, che ci furono le prime e uniche vittime di questa eruzione. Probabilmente per un’attenuata percezione del pericolo, o per l’aria finalmente sgombra di ceneri, 24 persone salgono fino al cratere per osservare da vicino il nuovo vulcano, e rimangono uccise da una improvvisa e imprevista espulsione di materiale vulcanico.

La ricostruzione dei fatti basata su fonti storiche ha permesso di avere informazioni dettagliate sulle dinamiche che hanno interessato l’ultima eruzione nei Campi Flegrei. Oltre ad eliminare errori ed omissioni, che possono distorcere l’interpretazione vulcanologica, uno degli obiettivi degli studi storici in ambito vulcanologico consiste nel creare una banca dati storica utile per preparare un piano di emergenza efficace in vista di possibili manifestazioni eruttive.

Questa, che dal punto di vista vulcanologico fu un’eruzione di modesta entità, fu definita dai contemporanei un evento prodigioso, cioè straordinario e al di là della comprensione umana. In realtà, dopo aver beneficiato per secoli delle manifestazioni benevole del vulcanismo, come il termalismo, in quell’occasione i contemporanei acquisirono consapevolezza, forse per la prima volta, che nell’area flegrea esiste concretamente il rischio di manifestazioni vulcaniche più malevole e pericolose per l’uomo.

 

Vedi l’articolo originale.


Bibliografia di riferimento

Del Nero, Francesco (ed. 1846), Lettera di Francesco del Nero a Niccolò del Benino, sul terremoto di Pozzuolo, dal quale ebbe origine la Montagna Nuova, nel 1538, F. Palermo (Editor), Archivio Storico Italiano9, Firenze, pp. 93-96.

Delli Falconi, Marco Antonio (1539) Dell’incendio di Pozzuolo Marco Antonio delli Falconi all’Illustrissima signora Marchesa della Padula nel M.D.XXXVIII, 22 fols., G. Sultzbach, Naples.

Guidoboni G. e Ciuccarelli C. (2011), The Campi Flegrei caldera: historical revision and new data on seismic crises, bradyseisms, the Monte Nuovo eruption and ensuing earthquakes (twelfth century 1582 AD)Bulletin of Volcanology, 73, 6, pp. 655-677, DOI: 10.1007/s00445-010-0430-3.

Marchesino, Francesco (1538) Copia de una lettera di Napoli che contiene li stupendi, & gran prodigij apparsi sopra à Pozzolo, 4 fols., s.n., [Naples].

Parascandola A (1944–1946), Il Monte Nuovo ed il Lago Lucrino, in Bollettino della Società dei Naturalisti in Napoli, 55, pp.151–312

Porzio, Simone (1551),  De conflagratione agri Puteolani, 2ª ed., Firenze 1551.

Toleto, Pietro Giacomo (1539) Ragionamento, del terremoto, del nuovo monte, del aprimento di terra in Pozuolo, nel anno 1538., e, dela significatione d’essi, 16 fols., G. Sultzbach, Naples.