DECRETO AGRICOLTURA
Il decreto Lollobrigida-Pichetto non risolve un bel niente. Ecco un caso da manuale. Il progetto agrivoltaico a Palmadula (Sassari): Ovvero come occupare la campagna, danneggiare la natura e arricchire le compagnie cinesi...
Copertina: foto dal sito di Mountain Wilderness – Italia.
Appianata la presunta polemica sorta tra i ministri dell’agricoltura e dell’ambiente a seguito del Decreto-legge sul fotovoltaico approvato lunedì in Consiglio dei ministri, non accenna invece a placarsi il malcontento delle associazioni degli imprenditori delle rinnovabili, che lamentano essenzialmente i maggiori costi dell’agrivoltaico, con pannelli soprelevati dal terreno agricolo, rispetto a quelli del fotovoltaico tradizionale con moduli a terra.
Tale forma “avanzata” di fotovoltaico è quella, infatti, che esce vittoriosa dal presunto scontro tra ministri e viene promossa a pieni voti dal governo per occupare i terreni agricoli, ammessa anche ai sussidi del PNRR, sia pure limitatamente ad un contingente di 1040 Mw complessivi. Poche sono, tuttavia, le voci levatesi a sottolineare la pesante invasività dell’agrivoltaico e gli stravolgimenti arrecati da tali impianti all’assetto ambientale e paesaggistico dei territori.
Uno per tutti, il caso emblematico a livello nazionale del progetto agrivoltaico di Palmadula, frazione del comune di Sassari, il più grande finora presentato in Italia, con una potenza di picco di 360 Mw abbinato ad un sistema di accumulo di 82,5 MWh, che occuperà una superficie di ben 1043 ettari di territorio di pregio a vocazione agro-naturalistica per la presenza di habitat di interesse comunitario secondo la Direttiva 92/43/CEE e posto ad una distanza inferiore a due Km dalle Zone di protezione speciale degli stagni retrodunali di Pilo e Casaraccio, facenti parte della Rete europea Natura 2000.
Su tale progetto la stessa Commissione VIA del MASE che lo sta sottoponendo ad istruttoria ha espresso numerose perplessità in una dettagliata nota di richiesta di integrazioni inoltrata lo scorso 24 aprile al proponente, giungendo addirittura a richiedere - viste le notevoli dimensioni - alternative di localizzazione dell’intero impianto dopo aver evidenziato come sia stato considerato l’effetto cumulo limitatamente ai soli impianti fotovoltaici esistenti ed autorizzati, omettendo quelli eolici e gli altri fotovoltaici in corso di istruttoria ed omettendo di analizzare l’incidenza di tale effetto nei riguardi delle altre componenti ambientali diverse da suolo e paesaggio, in primis la biodiversità, riguardo alla quale viene richiesto al proponente di produrre uno studio di incidenza idoneo a consentire una valutazione di incidenza (VIncA) “appropriata, di livello 2” in conformità con le linee guida comunitarie e nazionali.
La Commissione VIA mette così il dito sulla piaga delle inadempienze del Ministero da cui dipende funzionalmente, a partire dalla perdurante mancanza dei criteri per l’individuazione regionale delle aree idonee, con l’indicazione della massima porzione di suolo per unità di superficie occupabile dagli impianti e della piattaforma digitale presso il GSE prevista dall’art. 21 del D. Lgs. 199/2021 per organizzare tutti i dati territoriali e di mappatura degli impianti FER.
Aggiungiamo che, come documentato nei giorni scorsi dalla stampa, il titolare del progetto Palmadula è oggi la Chint Solar Europe, filiale europea della omonima compagnia statale della Repubblica popolare cinese, che lo ha recentemente acquisito dalla spagnola Enerside Group. Si tratta del principale produttore cinese di pannelli fotovoltaici, impegnato anche su altri progetti analoghi in Sardegna.
Il costo di realizzazione dell’opera ammonta a circa 290 milioni di euro di cui oltre il 25 % per i moduli fotovoltaici. Altro che via della seta….