DEMOCRAZIE E SICUREZZA ENERGETICA
Oltre alla riduzione delle emissioni dannose per il clima, la transizione energetica deve garantire la sicurezza degli approvvigionamenti di energia dalla cui disponibilità dipende il benessere mondiale. L’autore evidenzia i problemi delle democrazie occidentali nel confronto con dittatori e autocrati che rappresentano ormai un fronte pericoloso nel nuovo ordine mondiale.
In Copertina: Un’immagine della satira di inizio Novecento
Nei commenti e nelle analisi del post Trump, sono emersi due rilevanti aspetti per il benessere mondiale e l’energia, che ne è magna pars. Il primo, i timori per il mercato aperto, che potrebbe andare in crisi se davvero la nuova amministrazione USA basasse tutta la sua politica economica su un sistema di dazi “personalizzati” paese per paese. Uno per tutti: scrive Natale Labia sul Riformista del 7 novembre: “Il vero sconfitto si conosceva da tempo: la convinzione che il libero scambio fosse sempre vantaggioso” .
Quello che abbiamo imparato in questi anni è però che il libero scambio può funzionare solo tra pari. Tra vere democrazie di mercato, che presuppongono altrettante vere democrazie tout court. I problemi nascono quando pensiamo che il libero scambio sia possibile anche con sistemi dittatoriali di varo grado, che basano il loro potere sul nazionalismo.
D’altro canto, lo stesso comunismo sovietico trova spiegazione come epifenomeno del nazionalismo russo, direttamente collegabile ai comportamenti attuali di Putin. Il vero interesse dei dittatori non è il benessere generale, ma solo il proprio, mentre noi gli apriamo il campo di gioco. Eppure, continuiamo, nonostante le lunghe esperienze fatte con gli aiuti umanitari ai Paesi Africani, finiti nell’acquisto di armi.
Fonte Global Lng Hub
Il nuovo “asse del male” militare e ideologico, Russia, Cina, Iran, Corea del Nord, altri musulmani, sognano la distruzione delle democrazie occidentali e stanno cercando di farlo copiando e sviluppando le tecnologie che ingenuamente gli abbiamo fornito (da leggere: “Grazie, Occidente!” di Federico Rampini). Nell’era di internet l’esempio delle libertà occidentali e del nostro benessere è troppo pericoloso per il controllo delle proprie popolazioni da parte di tutti i dittatori o aspiranti tali.
Il secondo aspetto è il richiamo, Corsera del 9 novembre, del Presidente Mattarella: “No a ritorni anacronistici ai blocchi contrapposti”, ha detto da Pechino (!). Già, ma chi ha creato l’aggressiva alleanza militare dell’asse del male? Chi ha cancellato la democrazia a Hong Kong e minaccia Taiwan? Chi si allena a lanciare missili verso Corea del Sud e Giappone? Chi ha aggredito la democratica Ucraina? Chi vuole a tutti i costi distruggere Israele? Presidente, se non è un blocco antioccidentale questo, come lo vogliamo chiamare?
Soprattutto, Trump o non Trump, la cui capacità di deterrenza è tutta da verificare, potrà Putin tornare indietro dopo le centinaia di migliaia di morti e la distruzione della sua economia? O Xi Jinping dopo aver convinto il suo popolo che Taiwan è roba loro? Tra l’altro il ritorno al comunismo pianificatorio in Cina è destinato a degradare la qualità della vita a milioni di persone uscite da poco dalla povertà e le aspettative dei giovani.
Nella crisi interne, come sempre, i dittatori accusano i nemici esterni, cui alla fine devono muovere guerra per non perdere ciò che per loro conta di più, il proprio potere.
Queste considerazioni sono i lati di una stessa medaglia. È stato proprio il libero scambio che ha permesso alla Cina, improvvidamente ammessa a inizio secolo nel WTO, come adesso dobbiamo riconoscere, di diventare, truccando, ciò che è oggi. E speriamo che il Presidente Mattarella, nei recenti colloqui con la dirigenza cinese, definiti “franchi” dalla stampa nazionale, abbia ricordato che è grazie all’Occidente se più di un miliardo di cinesi è uscito dalla povertà in pochi anni. E lo stiamo pagando carissimo.
Le democrazie, per loro natura progressiste, tendono sempre a vedere la parte piena del bicchiere, e sottostimare la parte vuota. Nel linguaggio comune si chiama “realpolitik”; oltre quale limite si traduce in pavidità? Continuiamo a commerciare con i peggiori dittatori, sperando, in realtà illudendoci, che si ravvedano! E con ciò li armiamo contro di noi.
Nella ricorrenza della caduta del muro di Berlino di pochi giorni fa dobbiamo rivalutare l’episodio a pura casualità. Troppo facile, e ci ha abbagliati. Oggi due blocchi geopolitici esistono già, più un terzo, l’ormai famoso “sud del mondo”, i cui singoli Paesi dovranno scegliere dove stare, ma non senza un serio esame di democrazia.
C’è un importante filo che collega i “blocchi” al libero mercato, ed è l’energia, da cui dipende buona parte dell’intero commercio mondiale. Lo abbiamo imparato con il ricatto russo sul gas, pazientemente costruito da Putin negli anni https://astrolabio.amicidellaterra.it/node/3322 . Prudentemente è necessario considerare una possibile divisione esplicita nei prossimi anni tra economie di mercato e sistemi dittatoriali di vario tipo.
Occidente e libero commercio sono una cosa sola, per la salvezza dobbiamo porci l’obiettivo dell’autosufficienza, iniziando da quella energetica che regge tutto il sistema. Gas e petrolio, poi uranio, terre e materiali rari, questi ultimi necessari per la produzione e conservazione dell’elettricità. Tutti viaggiano via nave, vanno e vengono tra i continenti. Su alcuni la Cina ha costruito un quasi monopolio (come Putin sul gas in Europa), però si trovano anche in occidente, solo che vanno cercati, estratti e lavorati.
Fonte Global Lng Hub
Certamente l’autoproduzione avrà costi più alti rispetto a quelli in commercio oggi, ma noi non abbiamo minoranze etniche da usare per il lavoro forzato. Vanno messe in conto resistenze e opposizioni di tutti i tipi, da confrontare però con i rischi di guerra e la perdita della libertà. Crisi che portassero in fretta ad una divisione in blocchi potrebbero richiedere rallentamenti di alcune decisioni europee, come il tutto elettrico nei trasporti, etc.
Una mano potrà darla un ripensamento sull’uso del gas naturale, tra l’altro perfetto sostituto del petrolio di cui è più difficile rendersi autosufficienti. Poi c’è il nucleare, vecchio o nuovo che sia, che risolverà buona parte dei nostri problemi nel medio-lungo periodo. È difficile immaginare la costruzione delle navi spaziali del futuro con energie intermittenti.
L’Europa e in parte l’Italia hanno messo dal 2020 una croce sul gas, nonostante il suo uso emetta meno CO2 per il 25% del petrolio e l’80% del carbone. Nel frattempo, grazie a Timmermans, continuiamo ad usare in Europa carbone, lignite e in Italia olio combustibile, uno scarto della raffinazione del petrolio. Sulla dipendenza dal petrolio una grande responsabilità hanno le compagnie petrolifere, che quando, una decina di anni fa, era possibile switchare sul gas in tutti gli usi, hanno preferito sfruttare le raffinerie fino alla fine anche se già abbondantemente ammortizzate, risparmiando sulla manutenzione https://www.linkedin.com/pulse/il-petrolio-%C3%A8-finito-diego-gavagnin/ .
Se Trump farà ciò che ha promesso, la produzione americana di gas naturale non potrà che salire, per usarlo al posto del carbone ed esportarlo liquido. Il GNL sta vivendo un vero e proprio boom, al contrario del petrolio di cui si vedono i limiti, per il progressivo uso dell’elettricità per le auto e del GNL per i trasporti pesanti terrestri e marittimi. A parte l’Europa, il resto del mondo pensa al gas come fonte per una transizione ecologica ragionevole.
Ciò che certamente Trump non potrà fare sarà condizionare le scelte delle industrie produttrici. Queste si regoleranno da sole, in base alle previsioni di consumo e di prezzo, se continuare e/o incrementare la produzione di gas naturale e petrolio.
Lo scorso anno il presidente Biden ha limitato la capacità produttiva di GNL per l’esportazione, perché mandando il gas all’estero si è ridotta l’offerta per il mercato interno, con conseguente aumento dei prezzi per le famiglie americane; Biden ha anche cercato di limitare le nuove produzioni di gas, per motivi ambientali. Ma le due cose non stanno assieme.
La produzione di gas aumenterà, fino a quando il prezzo interno si sarà allineato con quello all’esportazione: al ribasso, con un vantaggio per i cittadini americani e per tutto l’eventuale blocco occidentale. Nel 2023 da paesi democratici sono stati esportati circa 250 milioni di tonnellate di GNL (USA, Australia, Malesia, Nigeria, Indonesia, Norvegia, Trinidad e Tobago, Perù); le importazioni di GNL di Europa, Giappone e Corea del sud sono state di circa 235 MT.
E sono in rapido arrivo nuove produzioni dagli USA oltre che da Canada 19 MT e Messico 8 MT in costruzione, senza considerare giacimenti offshore africani operati e posseduti, almeno in parte, da compagnie occidentali: Mozambico, che già produce, Senegal, Mauritania, Congo, Angola, Tanzania.
Come si vede, un blocco geopolitico occidentale nel gas naturale è possibile e ne avanza, permettendo anche di sostituire il petrolio in quasi tutta la petrolchimica e fare anche i fertilizzanti che la Russia adesso ci tira dietro, non potendo più esportare il metano. Certamente dovranno cambiare in parte le rotte delle metaniere: Australia, Malesia, Indonesia e poi il Canada penseranno a Corea del Sud e Giappone, gli altri all’Europa.
Le dittature si arrangeranno tra di loro, a parte la Cina, sono grandi produttori oltre che consumatori. In mezzo resteranno i Paesi del cosiddetto sud globale, che dovranno scegliere con chi stare, a iniziare dall’India, che pur essendo una democrazia non riesce a decidere.
Su una cosa Trump avrà difficoltà ad intervenire, sulle penali per le emissioni di metano in atmosfera previste da Biden dal 2025 per chi non si fosse messo in regola nonostante tre anni di forti sussidi (Inflaction Act, dell’estate 2022). Il rischio si chiama MethaneSat, satellite lanciato dalla ONG USA che tra qualche mese stilerà periodicamente, su basi scientifiche certe, la lista dei più grandi emettitori. In Italia, l’Environmental Defence Fund collabora con gli Amici della Terra.
Oggi il peggiore emettitore è la Russia, che però, non potendo più esportare, riduce le quantità di gas nelle tubature e minimizza anche le emissioni, favorite dalla pressione nei tubi, scarsamente manutenuti. Trump rischia di essere sbeffeggiato periodicamente da Putin e Xi su tutti i media mondiali. Il metano in atmosfera è molto peggio della CO2, nei primi anni dalla fuoriuscita. Queste le emissioni dello scorso anno: Russia circa 13 Mt CH4/anno, USA 11, Cina 10 soprattutto da carbone, che sarà ridotto in favore del gas naturale.
Tanto per concludere con una nota più leggera, va notato che la stessa Cina non si fida della Russia, cui pure fornisce tutto l’appoggio contro l’Ucraina, e preferisce il GNL occidentale piuttosto che dipendere dai gasdotti che vuole Mosca.