BIODIVERSITA’
Il Parlamento europeo approva definitivamente il testo del Regolamento “Restoration Law” sul restauro degli ecosistemi nell’UE. Le Direttive “Habitat” e “Uccelli” non avrebbero dato i risultati sperati per la tutela della biodiversità. “Ma non è proprio così” spiega l’autore sul suo sito che, da anni, monitora l’attuazione delle direttive per la protezione degli ecosistemi.
In Copertina: scorcio del fiume Ofanto – foto ©Fabio Modesti
Il Parlamento europeo, ha definitivamente approvato il Regolamento denominato “Restoration Law” con il quale s’intende procedere al restauro di una molteplicità di ecosistemi, inclusi quelli urbani, integrando la Direttiva “Habitat”. Le misure di ripristino dovrebbero riguardare almeno il 20% delle aree terrestri e marine dell’Unione da realizzare entro il 2030 e tutti gli ecosistemi che necessitano di restauro entro il 2050.
Tutto questo perché, si dice nei documenti elaborati da Commissione, Parlamento e Consiglio Europeo (il cosiddetto “trilogo”) «valutazioni recenti hanno dimostrato che gli Stati membri sono ancora lontani dal raggiungere gli obiettivi delle direttive. La valutazione dell’Agenzia europea per l’ambiente sullo stato della natura nell’UE elaborato nel 2020 ha rilevato che un’elevata percentuale di habitat protetti dalla Direttiva “Habitat” (81%) è in un carente o cattivo stato di conservazione».
Ancora, il Regolamento in approvazione sarebbe necessario perché «oltre un terzo di quegli habitat in condizioni sfavorevoli sono in ulteriore peggioramento a scala europea. Il rapporto della Commissione per il primo ciclo di attuazione della Direttiva sulla Strategia per l’ambiente marino ha suggerito che il raggiungimento di un buono stato ecologico per tutte le acque marine dell’UE entro il 2020 è improbabile.
“Nell’ambiente d’acqua dolce, il 36% dei corpi idrici ha finora ottenuto risultati chimico-fisici positivi e per il 39% il buono stato ecologico prescritto dalla direttiva quadro sulle acque. La valutazione nell’intera UE degli ecosistemi terrestri, d’acqua dolce e marini condotta dal Centro comune di ricerca (JRC) ha concluso che la condizione effettiva degli ecosistemi coperti dalla legislazione dell’UE rimane in gran parte sfavorevole. Allo stesso tempo, il rapporto ha individuato ampie lacune nella protezione giuridica degli ecosistemi terrestri. Gli ecosistemi urbani, i terreni coltivati e le foreste sono i meno protetti».
La scelta discutibile
Quindi, la scelta di ricorrere ad uno strumento vincolante ed immediatamente esecutivo negli Stati membri UE come il Regolamento “Restoration Law” sarebbe dettato da fallimento applicativo soprattutto della Direttiva “Habitat”. Quest’ultima, approvata nel 1992, addirittura prima della Conferenza per la biodiversità di Rio de Janeiro, ha avuto sicuramente non pochi problemi nella sua attuazione.
Se il Regno Unito (allora membro attivo ed importante dell’Unione) si è messo in regola con il suo recepimento entro i termini fissati dalla Direttiva (2 anni), l’Italia ha tirato a campare ed ha fatto di tutto per evitare di recepire correttamente le norme della Direttiva, sicuramente visionarie ma che hanno tutt’ora una capacità operativa notevole. Svariate le procedure di infrazione avviate dalla Commissione UE nei confronti dell’Italia, così come nei confronti di altri Stati, che la Corte di Giustizia ha sistematicamente risolto in favore dell’esecutivo europeo.
Nel Bel Paese ricordiamo la pessima figura fatta con l’adozione del D.P.R. n. 357/1997 che avrebbe dovuto recepire le norme della Direttiva ma che è stato sottoposto a profonda revisione, sei anni dopo, sotto procedura di infrazione. Ancora oggi la parte più osteggiata della Direttiva “Habitat” è quella relativa alla procedura di valutazione di incidenza, come abbiamo scritto più volte. Uno strumento, questo, di gestione per la conservazione di habitat e specie nei Siti Natura 2000 tutelati dalla Direttiva “Habitat” assieme alla Direttiva “Uccelli”, ma che in Italia viene vista come fumo negli occhi e quindi aggirata ed elusa e perciò relegata, per falsa analogia, ad ancella della procedura di valutazione di impatto ambientale.
Insomma, il Regolamento “Restoration Law” che il Parlamento europeo si accinge ad approvare definitivamente ha maggiori rischi di essere mal applicato e di essere aggirato dagli Stati membri anche se la sua forma giuridica è maggiormente vincolante. L’UE continua a porsi obiettivi temporali quantomeno discutibili per raddrizzare verso la sostenibilità ambientale le sue politiche. Così è stato con il settore “automotive”, con la nuova Politica agricola europea (Pac) e con il green deal in generale. Aspettative ambiziose che si scontrano sistematicamente con il principio di realtà e con una debolezza politica intrinseca all’attuale forma di governo dell’UE.
La sensazione è che con la Restoration Law possa accadere la stessa cosa. Con il Parlamento europeo che si è già preoccupato di mettere in sicurezza, in questo stesso testo, ad esempio il settore delle energie rinnovabili, per il quale non si applicano politiche di compatibilità ambientale ed ecologica. Torri eoliche e specchi fotovoltaici dovunque e comunque sono salvi, alla faccia della tutela della biodiversità.
Restiamo convinti che maggiori attenzione e pressione della Commissione UE sulla corretta e piena applicazione delle Direttive “Habitat” e “Uccelli” sarebbero stati strumenti più che sufficienti a garantire il raggiungimento di ottimi risultati nella tutela della biodiversità e nel restauro degli ecosistemi oltraggiati.