Oggi:

2024-03-19 06:00

L’Emergenza nell’Emergenza

COVID 19 E RIFIUTI

di: 
Giovanni Barca

La pandemia ha reso più grave che mai l’emergenza rifiuti, determinata dalla carenza di impianti in oltre metà del paese. Infatti, i rifiuti infetti e quelli sospetti di infezione dovrebbero essere tutti inceneriti. La redazione dell’Astrolabio coglie l’occasione per esprimere vicinanza e solidarietà ai lavoratori dei servizi di igiene pubblica, raccolta, riciclo e smaltimento dei rifiuti che assicurano in tutta Italia un servizio indispensabile e non esente da rischi ma scarso di pubblici riconoscimenti.

La Competenza

Nelle difficoltà dovute al diffondersi prepotente del virus, la politica sembra aver riscoperto la competenza e, per lo più, si fa guidare da medici e scienziati nell’assumere decisioni gravi che mai avrebbe pensato di dover affrontare. Quanto durerà e se durerà ancora non lo sappiamo ma certo sarebbe bello che, in ogni settore, scelte importanti che riguardano gli interessi di tutti fossero assunte in base a riflessioni tecnico scientifiche e non in base a quello che l’opinione pubblica vorrebbe sentire. Ciò dovrebbe valere anche per le tematiche ambientali in relazione alle valutazioni di chi è preposto al monitoraggio al controllo dell’ambiente.

Con circolare del 23 marzo a firma del Presidente di Ispra, il Sistema di protezione ambientale, SNPA, fornisce le prime indicazioni per la gestione dei rifiuti in presenza dell’emergenza Covid 19. Tali indicazioni sono definite anche a seguito di linee d’indirizzo  predisposte dall’Istituto Superiore di Sanità per la raccolta dei rifiuti extra-ospedalieri.

In particolare, la circolare distingue i rifiuti urbani prodotti nelle abitazioni ove soggiornano soggetti positivi al tampone in isolamento o quarantena da tutti gli altri. Per i primi, il SNPA raccomanda che vengano avviati all’incenerimento senza alcun trattamento preliminare, in sostanza, considerando questi rifiuti alla stregua di quelli ospedalieri.

La circolare prende atto con disarmante chiarezza che nel nostro paese vi è carenza d’impianti e al fine di scongiurare ulteriori emergenze sanitarie, delinea prescrizioni per mitigare gli effetti dello stoccaggio temporaneo e lo smaltimento in discarica dei rifiuti potenzialmente infetti, prescrivendo di confinarli in zone ben definite.

Nel merito, facciamo due considerazioni:

- se è vero che la popolazione italiana probabilmente infetta è 10/20 volte quella che risulta dagli scarsi campioni effettuati, non si capisce perché l’avvio all’incenerimento dei rifiuti urbani dovrebbe riguardare soltanto quello prodotto dai cittadini risultati effettivamente positivi o in quarantena. Prudenza vorrebbe che la maggior parte degli urbani prodotti venisse avviata a termovalorizzazione, magari approfittando della capacità degli impianti determinata dal crollo dei rifiuti speciali da attività produttive;

- da tanti anni sappiamo che il nostro paese ha una carenza d’impianti. Nelle ultime 4 o 5 legislature, le Commissioni d’inchiesta sui rifiuti hanno puntualmente “scoperto” quello che è noto a esperti e aziende di settore (e che gli Amici della Terra hanno sempre denunciato): mancano impianti d’ogni tipo e quelli previsti da piani e provvedimenti non si fanno perché, quasi sempre, le amministrazioni e la politica “cedono” al dissenso della popolazione che non li vuole, in ossequio ad una sindrome NINBY insensata e ormai datata.  Al contrario, andrebbero fatte scelte coraggiose per scongiurare ogni possibile emergenza igienico sanitaria e, soprattutto, per uscire dall’emergenza della gestione quotidiana dei rifiuti urbani in oltre metà del paese.

 

Le carenze impiantistiche

Assombiente e le altre associazioni di categoria denunciano carenze impiantistiche sia per i rifiuti urbani che per quelli speciali, in particolare per il centro e il sud. Per il sud peninsulare si stima che manchi una capacità di trattamento della frazione organica pari a 1,4 milioni di tonnellate e per 700.000 ton da avviare a incenerimento. Tradotto in numero d’impianti si può ipotizzare che manchino una decina di impianti di trattamento per l’organico (possibilmente, impianti di trattamento anaerobico per la produzione di biogas), e 4-5 impianti di termovalorizzazione.

Sulle carenze impiantistiche di Roma Capitale si potrebbe scrivere un trattato  e l’Astrolabio se n’è occupato spesso: http://astrolabio.amicidellaterra.it/node/1787 , http://astrolabio.amicidellaterra.it/node/1741.

Anche nel centro nord, la ricca e colta Toscana non ha portato a conclusione una pianificazione da tempo approvata che prevedeva, tra l’altro, la realizzazione di un impianto di termovalorizzazione a Firenze, preferendo la via della dell’ampliamento delle discariche e ipotizzando soluzioni impiantistiche tutte da verificare perché in fase di sperimentazione.

Qualche giorno fa il Presidente della Giunta toscana ha emesso un’ordinanza sui rifiuti per l’emergenza coronavirus che, in osservanza delle indicazioni ISS e SNPA, vorrebbe privilegiare l’incenerimento (pur nominandolo il meno possibile) ma che, purtroppo, si scontra con le reali capacità residue degli impianti ancora funzionanti in Regione. Né, in questo periodo, è lecito attendersi un aiuto dagli inceneritori di Brescia e Bergamo, alle prese con i problemi dei propri comuni martoriati dalla pandemia.

Di conseguenza, l’ordinanza della Toscana non fa che derogare alle norma vigenti aumentando le quantità di rifiuti da smaltire in discarica e aumentando tempi e volumi degli stoccaggi provvisori. In un periodo in cui siamo tutti preoccupati per un virus che è passato dagli animali all’uomo lasciare a lungo l’immondizia all’esterno, seppur in luoghi dedicati, non è il massimo. Anche questa ordinanza attesta chiaramente le difficoltà della Regione a far fronte ad una gestione dei rifiuti veramente conforme alle direttive comunitarie nonostante il calo della produzione dovuto alla chiusura di quasi tutte le attività artigianali e industriali. Se ci si fosse organizzati per tempo, il calo degli speciali avrebbe permesso l’invio a termocombustione di ulteriori quote rifiuti urbani potenzialmente infetti.

 

I costi

Da un recente studio del laboratorio Ref ricerche apprendiamo che, negli ultimi due anni, ma prima dell’emergenza sanitaria, le imprese hanno registrato crescenti difficoltà nella gestione dei rifiuti e sono aumentati i costi e i tempi di ritiro da parte degli operatori. Secondo questo studio, nei territori ove sussiste carenza d’impianti, i costi sono raddoppiati e, in alcuni casi, perfino triplicati. “Le cause sono da ricercare nelle carenze impiantistiche che, a partire dal 2018, hanno visto alcune Regioni dover fronteggiare una “paralisi” nella gestione del rifiuto. La situazione non pare critica solo per l’industria manifatturiera ma anche per le imprese di gestione dei rifiuti”. Lo studio indica la necessità di superare il dualismo tra rifiuti urbani e speciali ripensando profondamente la gestione dei rifiuti in tutto il paese.

È presumibile che la pandemia abbia peggiorato la situazione, anche a fronte della chiusura dei cementifici che, nell’ordinario, sono in grado di assorbire combustibili solidi secondari.  Secondo il presidente di Assoambiente, Chicco Testa, il costo dello smaltimento dei rifiuti ospedalieri, ad esempio, si attesta già attorno ai 1000 euro a tonnellata.

Ci auguriamo che l’emergenza Covid19 aiuti almeno a superare la sbornia degli slogan ideologici come “rifiuti zero” e che si possa ricominciare ad affrontare tecnicamente i problemi sulla base di dati e presupposti scientifici. Un paese povero di materie prime e sempre più indebitato come il nostro non dovrebbe perdere l’occasione di valorizzare i rifiuti ricavandone materie prime seconde, calore ed energia e mettendo al contempo in sicurezza la salute delle persone e dei lavoratori oltre all’operatività delle aziende.

 

La plastica

Com’è ormai noto, a partire dal 2018 , la Cina ed altri paesi asiatici hanno smesso di ricevere rifiuti dall’Europa. Questa indisponibilità ha creato non pochi problemi in Europa per il reperimento di sbocchi industriali per il riciclo delle plastiche raccolte in forma differenziata. L’emergenza ha dato luogo, altresì, al fenomeno di numerosi impianti di stoccaggio di rifiuti plastici andati a fuoco, anche nelle regioni più attrezzate del nord Italia.  

L’Astrolabio, fra i primi a denunciare la crisi derivata dal mancato riciclo, ha anche commentato la direttiva sulle plastiche monouso http://astrolabio.amicidellaterra.it/node/1884  e provato a raccontare che il vero problema della dispersione nell’ambiente delle materie plastiche derivi, non tanto dal loro utilizzo, quanto dalla non corretta gestione dei rifiuti prodotti.

Oggi, con l’emergenza sanitaria, nei nostri ospedali e nelle nostre case si fa largo uso di presidi monouso per la cura dei pazienti e gran parte dei dispositivi di protezione individuale sono in materiale plastico. Anche la distribuzione degli alimenti torna a ricorrere alle confezioni plastiche per motivi igienici. Forse, questo fatto aiuterà a valutare con razionalità l’appropriato utilizzo dei materiali dopo anni di demonizzazione senza criterio. Ora occorre comprendere che, dopo l’utilizzo, ciò che conta davvero è non disperdere la plastica nell’ambiente recuperando materia ed energia attraverso impianti dedicati. 

 

Emissioni in atmosfera e inceneritori

È indispensabile ricordare che in tempi ordinari (senza i blocchi di attività e di trasporti dovuti al Covid) l’intero sistema della gestione dei rifiuti incide per il totale dei gas climalteranti emessi in Italia per 4,3% del totale secondo l’Inventario Italiano dei Gas Climalteranti 1990-2017 pubblicato da ISPRA nel 2019. http://www.isprambiente.gov.it/it/pubblicazioni/rapporti/italian-greenhouse-gas-inventory-1990-2017.-national-inventory-report-2019

Di questo 4,3 %, il contributo maggiore è costituito dalle discariche con il 74%, mentre gli inceneritori contribuiscono per lo 0,9%.  Ancora, dall’inventario delle emissioni Arpa Emilia Romagna, pubblicato nel 2019 e relativo a dati 2015, apprendiamo che il complessivo sistema di gestione dei rifiuti della Regione incide per lo 0,8% sugli Nox e lo 0,01 delle polveri totali.

Insomma, la diffusione di questi dati potrebbe smentire utilmente chi continua a osteggiare gli impianti di gestione dei rifiuti paventando problemi all’ inquinamento dell’aria che, invece, sono causati proprio dalle discariche. E le discariche continuano a esistere e ad estendersi in Italia e all’estero proprio grazie a chi si oppone agli altri impianti di gestione dei rifiuti, in particolare, ai termovalorizzatori.