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2024-03-19 10:38

Sulle Tracce dell’Invisibile

CORONAVIRUS NELLE MATRICI AMBIENTALI

di: 
Chiara Lambertini*

Dato che la maggior parte delle persone non sarà sottoposta a test per il nuovo coronavirus, gruppi di ricerca in Italia e in tutto il mondo hanno iniziato ad analizzare le acque reflue come un modo per stimare dimensioni e caratteristiche delle infezioni in una comunità. L’Astrolabio ha chiesto al Gruppo Hera, che gestisce la depurazione di una significativa porzione di territorio e che dispone di propri laboratori di analisi, di raccontarci metodi e finalità delle esperienze a cui sta partecipando e che riguardano ben più che il sistema integrato delle acque.

Opportunità dall’osservazione dell’infinitamente piccolo

Nessun rischio per la salute umana, ma un’occasione importante per valutare l’andamento epidemico su scale significative e contribuire così alla costruzione di modelli predittivi che supportino i processi decisionali necessari ad accompagnare la ripartenza del Paese. Dev’essere questa, crediamo, la premessa a partire dalla quale parlare della ricerca e dello studio di tracce di coronavirus nelle acque reflue, sfida che oltre all’Italia sta già interessando Francia, Olanda, Australia e alcune contee degli Stati Uniti e in cui anche il Gruppo Hera, in alcuni dei territori serviti, è impegnato a più livelli. Coinvolta dall’Istituto Superiore di Sanità in un progetto sperimentale sulla rilevazione di SARS-CoV-2 nei reflui fognari urbani, la nostra multiutility si è infatti impegnata a effettuare prelievi di campioni nelle reti fognarie di Modena, Bologna e Rimini, ma poi anche di Padova e Trieste, mobilitando di conseguenza anche i laboratori di analisi di HeraTech. Da sempre attenti a garantire i piani di controllo analitici delle acque indispensabili alla piena continuità del Servizio Idrico, tali strutture si stanno dunque prodigando per andare oltre, da un lato acuendo lo sguardo per catturare e leggere questo nuovo “infinitamente piccolo”, dall’altro lato considerando a 360 gradi l’insieme delle matrici coinvolte nel vettoriamento del virus, un insieme – per intenderci – che contempla non soltanto le acque ma anche l’aria e le superfici.

D’altra parte, come scriveva Primo Levi ne Il sistema periodico, “comprendere la materia è necessario per comprendere noi stessi”, e quindi elementi come l’azoto, il carbonio, l’idrogeno, l’oro e l’arsenico diventano essenziali per raccontare una vita, le esperienze di un uomo nel suo momento storico, un momento che – ad oggi - lo vede impegnato nel difendersi proprio dal virus SARS-CoV-2. In questa sfida, i laboratori di HeraTech non mancheranno di mettere a frutto l’antica professione del chimico e del biologo, valorizzando al contempo innovazioni, tecnologie, strumentazioni e materiali adeguati allo scopo. L’obiettivo? Sviluppare nuovi metodi analitici e progettare un complessivo nuovo processo di monitoraggio biologico, con cui prepararci a scenari possibili e probabili, ragionevolmente di medio-lungo periodo, che saranno caratterizzati dalla necessità di controlli, covid-19 specifici, nelle diverse matrici ambientali. Le risorse messe in campo e le competenze della scienza convergono così per contribuire a studi epidemiologici e alla definizione di misure di contrasto e contenimento della diffusione del virus SARS-CoV-2. A partire, non a caso, da quegli ambienti di lavoro la cui sicurezza sarà così importante nella delicatissima e cosiddetta “fase 2”.

 

Da dove siamo partiti

L’investimento. In Laboratorio c’è sempre fame di avanguardia tecnologica, c’è sempre voglia di strumentazione più performante. È un settore dove l’obsolescenza tecnica è veloce e dove i temi di circolarità economica e di sostenibilità richiedono di migliorare la capacità di investigazione in modo continuo e sempre più esigente.

Ecco che negli anni, a fianco delle metodiche più tradizionali e basate su colture specifiche di microrganismi, si è sempre più affermata la metodica della RT - PCR, acronimo di “reazione polimerizzazione a catena in tempo reale”. Con tale acronimo si indica un importante metodo di analisi che amplifica il DNA o l’RNA dei microrganismi oggetto di analisi, permettendo di riconoscerli univocamente e di poterne asserire o escludere la presenza. Con una difficoltà: a differenza dei virus enterici solitamente ricercati nelle acque, il coronavirus Sars-Covid19 – non enterico - è provvisto di envelope, una sorta di “cappotto” lipidico e glicoproteico molto suscettibile ai fattori ambientali, quali la temperatura, la luce, il pH, che possono pregiudicare la disponibilità del materiale genetico integro.

Da questo punto di vista, un articolato sistema di trattamento delle acque reflue risulta particolarmente inospitale alla sopravvivenza del virus. Non a caso, il recente rapporto n.10/2020 Covid-19[1] dell’ISS, sintesi di uno studio a cui anche Hera ha contribuito, offre ampie rassicurazioni circa l’assenza di rischi trasmissivi associati alla presenza Covid-19 nelle acque reflue nel caso di presenza di impianti depurativi correttamente gestiti.

Buone notizie, certo, che tuttavia non esauriscono la curiosità e il dovere scientifico del nostro Laboratorio. Diversi studi, infatti, affermano che:

- il coronavirus persiste su superfici fino anche a 9 giorni, anche se può essere efficacemente inattivato da procedure di sanificazione adeguate[2];

- come riportato dal già citato rapporto dell’ISS, il virus in forma infettiva è stato rilevato nelle feci di pazienti COVID-19;

- tale tema è oggetto di approfondimento anche di uno specifico studio olandese[3] immediatamente circolato all’affermarsi del fenomeno epidemico in Italia;

- ulteriori recenti studi riportano prime evidenze della presenza di coronavirus sul particolato atmosferico[4].

Il quadro, dunque, è piuttosto complesso ma per fortuna - lavorando in un Gruppo che da sempre, e non solo in emergenza, crede nel valore della ricerca - alla strumentazione adeguata coniughiamo l’esperienza e la competenza del nostro personale, valori che oggi si rivelano più preziosi che mai.

 

Cosa facciamo allora e cosa cercare

Individuata pertanto la metodica di base, RT- PCR, e reperito, non senza difficoltà, il kit genomico Covid-19 specifico per PCR, come Laboratorio abbiamo impostato il lavoro su 3 direttrici sostanziali.

1) Matrice acque reflue

In collaborazione con ISS e sulla base delle risultanze finora note - che evidenziano come il virus possa trovarsi nelle feci di pazienti con infezione - stiamo lavorando per contribuire a ricavare informazioni dalla presenza in acqua di tracce di RNA di covid-19, cercandole in quei reflui che devono ancora fare il loro ingresso nel processo depurativo di alcuni nostri impianti significativi. Dopo questo ingresso – infatti – il virus sarebbe sostanzialmente irreperibile e non potremmo fare altro che continuare a constatare l’efficacia del processo di depurazione.

Anche così, tuttavia, il lavoro è tutt’altro che semplice: la concentrazione del virus nelle acque di scarico, in particolare, è bassa, e questo richiede di campionare ingenti volumi di acqua, mettendo in campo metodi diversi che spesso danno scarsa riproducibilità e bassi recuperi del virus stesso. Con il coronavirus, inoltre, i metodi utilizzati per la ricerca dei virus enterici non funzionano ed ecco perché, d’intesa con l’ISS, stiamo lavorando senza sosta all’individuazione di protocolli specifici e condivisi.

Auspicando di pervenirvi quanto prima, non restiamo però in semplice attesa e negli agglomerati urbani di Bologna, Modena, Rimini, Padova e Trieste sono già in corso le attività di prelievo settimanale dei campioni, che verranno conservati e congelati presso la nostra sede laboratoriale di Sasso Marconi (BO).

L’interesse di un tale studio, d’altronde, è davvero strategico perché esso permetterebbe di effettuare monitoraggi a livello di interi agglomerati urbani, fornendo indicazioni significative sull’andamento epidemico. Integrato con informazioni sanitarie e demografiche, questo tipo di risultanze può infatti permettere la costruzione di modelli predittivi, consentendoci di mettere a punto uno strumento che, in caso di future situazioni analoghe, possa supportare le necessarie decisioni ottimizzando la loro efficacia.

2) Matrice superfici

Anche le superfici, d’altronde, meritano grande attenzione, tanto più in quei luoghi di lavoro che si candidano a diventare il vero banco di prova della fase 2: condotte, filtri dell'aria e superfici ad alta frequenza di contatto diventano così i punti sensibili a partire dai quali determinare la sicurezza microbiologica di questi ambienti.

La persistenza del virus sulle superfici, infatti, è ampiamente dimostrata, con tempi di permanenza che variano a seconda delle caratteristiche del tipo di superficie: quelle meno porose come plastica e acciaio, in particolare, sembrerebbero risultare le “peggiori” per il vettoriamento del virus, in quanto assorbono meno facilmente le goccioline, preservando il virus in superficie.

In questo caso, il problema della concentrazione del virus nel campione non c’è, ma per “concentrare un intero ambiente di lavoro” in un numero adeguato di campioni da analizzare che siano rappresentativi dell’intero ambiente oggetto di analisi, abbiamo dovuto definire – per ciascuna tipologia di ambiente di lavoro - gli elementi strutturali più a rischio (es. maniglie, pulsantiere, ecc.)[5].

In questo processo assume un ruolo chiave pertanto la “progettazione” e l’esecuzione del servizio di campionamento, la sistematicità del lavoro e la definizione di criteri di correlazione con le procedure di sanificazione. Un approccio, insomma, più interdisciplinare e statistico, per il successo del quale bisogna mettere sul tavolo anche una buona dose di creatività, fondamentale – per esempio – per ovviare al fatto che reagenti e tamponi sono prioritariamente destinati al servizio sanitario. Anche questa, in fondo, è resilienza.

Minori, invece, i problemi relativi alle metodologie di analisi, mutuate in definitiva da quelle già in uso per il monitoraggio biologico di questa matrice e generalmente impiegate per la verifica dei livelli di contaminazione di batteri quali gli enterococchi.

In questo caso è possibile testare la presenza di virus COVID-19 su tamponi sfregati su superfici, seguendo anche in questo caso specifici protocolli che supportano e standardizzano l’approccio.

Il tampone viene poi analizzato tramite RT-PCR che, attraverso il kit genomico specifico Covid-19, è capace di riconoscerne la presenza di RNA, attraverso un meccanismo che, volendo semplificare, potremmo chiamare di “chiave-serratura”.

In questo caso l’analisi, permettendoci di asserire la presenza o meno delle tracce geniche del virus nel campione, è di tipo qualitativo, ma con alcuni accorgimenti ulteriori può dare anche evidenze semi-quantitative.

3) Matrice Aria

Non meno sfidante è l’analisi dell’aria, che come mezzo di trasporto del virus – a ben vedere - potrebbe contribuire a spiegare la diffusione disomogenea del numero dei contagi sul territorio nazionale.

Anche qui, peraltro, non mancano elementi di complessità: ad oggi, infatti, non esistono metodi ufficiali di rilevazione e campionare volumi di aria rappresentativi è tutt’altro che semplice.

La distanza sociale individuata dall’OMS, benché non priva di ragioni, non regge più ad esempio in caso di vento o di impianti di aereazione interna, contesti in cui il raggio d’azione del contagio potrebbe notevolmente aumentare.

Lo studio di Van Doremalen[6], inoltre, ha sottolineato che i virus patogeni mostrano una presenza ambientale prolungata, persistente come aerosol, per diverse ore. Il genoma virale persistente potrebbe essere rilevato anche fino a più di 24 ore dopo il rilascio.

Molto interessanti, da ultimo, gli esiti dei più recenti studi sulla possibilità che il virus si leghi al particolato atmosferico, che agisce da mezzo di trasmissione anche sulle lunghe distanze, creando altresì un link importante con la necessità di proseguire sulla strada della tutela dell’ambiente, un po’ sparita dalle cronache di queste settimane.

Per il momento, il nostro laboratorio sta vagliando l’idea di ricondurre l’analisi dell’aria alla matrice che oggi ci permette l’analisi in RT PCR, ovvero a una superficie, partendo dal campionamento di un volume rappresentativo di aria e adottando per questo opportuni filtri che sono già allo studio.

 

Conclusioni

Fra le più stimolanti esperienze professionali vissute dal laboratorio di HeraTech, l’attività di ricerca attualmente in corso sul coronavirus ci fa capire quali possono essere alcuni dei valori aggiunti più preziosi su cui puntare anche per il futuro:

tempestività di risposta e capacità di attuazione: i tempi stretti del percorso intrapreso sono figli di un approccio agile e volto a fornire risposte tempestive alle nuove sfide scientifiche, ma anche di una capacità di attuazione che passa velocemente dall’idea all’azione che ne deriva;

standardizzazione delle metodiche di controllo: l’incertezza è parte integrante dell’osservazione scientifica, ma proprio per questo deve essere gestita secondo standard comuni, che in situazioni come questa garantiscano su scala auspicabilmente mondiale la confrontabilità dei risultati di volta in volta ottenuti e la ripetibilità degli studi. Solo così, attraverso protocolli validati di campionamento e di analisi, potremo rafforzare quei presidi di controllo da cui nei mesi e negli anni a venire - come cittadini, come imprese e come Paese - non potremo più prescindere;

strumenti di supporto ai processi decisionali: quanto sta emergendo deve responsabilizzare chi fa ricerca, perché per le sue mani passano contributi che possono aiutare tanti attori pubblici e privati nell’interpretazione delle tendenze che andranno a consolidarsi e nell’assunzione delle decisioni che dovranno ragionevolmente derivarne.

Sguardo lungo e risk management: nessuno dei valori aggiunti sopra indicati, del resto, può essere messo in campo da organizzazioni che ragionino in una prospettiva di short term. Dotandosi di avanzati modelli di crisis e, soprattutto, di risk management, il Gruppo ha diffuso tra i propri lavoratori una cultura dello sguardo lungo, che nella nostra attività quotidiana ci aiuta a traguardare ogni singolo compito verso il futuro, riconoscendone il valore alla luce degli scenari che prepara e, insieme, di quelli che scongiura. Ed è anche per questo se oggi possiamo garantire che grazie ai nostri trattamenti di depurazione, nonostante la gravità della situazione in atto, le acque restituite all’ambiente sono assolutamente sicure.

 

*Direttore Laboratori HeraTech, Gruppo Hera

 

NOTE


[1] Indicazioni ad interim su acqua e servizi igienici in relazione alla diffusione del virus SARS-CoV-2; Gruppo di Lavoro ISS Ambiente e Rifiuti – aprile 2020.

[2] Persistence of coronaviruses on inanimate surfaces and their inactivation with biocidal agents – G. Kampf, D. Todt, S. Pfaender, E. Steinmann – January 2020.

[3] What we learn about the Corona virus through waste water research – 24 marzo 2020, G. Medema, H. Ruijgers.

[4] Studio effettuato da Sima, ricercatori dell'Università di Bari, Bologna e Trieste, e dell’ateneo di Napoli “Federico II”.

[5] Il termine droplet, infatti, significa proprio gocciolina, e in medicina viene utilizzato per definire uno dei possibili metodi di trasmissione di un agente infettivo

[6] Aerosol and Surface Stability of SARS-CoV-2 as Compared with SARS-CoV-1 – aprile 2020.