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2024-03-28 22:38

Problemi e Condizioni per la Produzione e l’Utilizzo Efficiente di Idrogeno Verde

TRANSIZIONE ENERGETICA

di: 
Alessandro Clerici

L’autore, esperto internazionale di energia e ambiente, è intervenuto in rappresentanza degli Amici della Terra alle audizioni presso la X Commissione Attività produttive della Camera dei Deputati sulla risoluzione 7/00609, Andrea Vallascas, “per il sostegno della trasformazione energetica, delle fonti rinnovabili e, in particolare, della filiera dell’idrogeno”. Riproduciamo il testo integrale del suo intervento.

L’idrogeno verde da elettrolisi dell’acqua che, bruciando, produce vapor acqueo e che potrebbe avere utilizzi in vari settori, è certo affascinante ed è una delle tecnologie potenzialmente interessanti per contribuire alla transizione dal fossile al “verde”.  Tuttavia, la stessa risoluzione  in esame sottolinea che “adeguati livelli di produzione d'idrogeno verde, richiedono la disponibilità di elevati volumi di energie rinnovabili”;  questo pone chiaramente il problema del coordinamento tra le rinnovabili previste dai vari piani nazionali integrati energia  e clima (PNIEC) e quelle per la produzione di idrogeno verde che dovrebbero sottostare ad un criterio di addizionalità , tuttora da definire, per evitare “cannibalizzazioni” di elettricità verde destinata a mobilità elettrica, pompe di calore, ecc. Ciò risulta ancor più critico considerando gli obiettivi al rialzo posti dal Green Deal per il 2030, che portano la riduzione delle emissioni dal 40% al 55%, con relative inevitabili forti revisioni al rialzo delle rinnovabili dei vari PNIEC.

 

La transizione energetica

Ritengo che la transizione energetica dovrebbe porre obiettivi stimolanti ma realizzabili, calcolando i costi effettivi per raggiungerli, definendo come ripartirli e verificandone gli impatti sociali. Infatti, senza adeguata comunicazione e coinvolgimento della popolazione (e non vedo investimenti in tal senso), tali costi potrebbero causare serie reazioni e atteggiamenti sovranisti con grave pregiudizio per una efficace transizione.  

Come menzionato dal ministro Cingolani, i nuovi obiettivi al 2030 potrebbero richiedere un 72% di rinnovabili elettriche rispetto al 57% richiesto attualmente; per l’Italia, ciò significa addizionali 55 GW di eolico e fotovoltaico rispetto ad oggi, invece dei già ambiziosi 43 GW del PNIEC. Nei 9 anni che ci mancano, dovremmo in media mettere in servizio oltre 6 GW all’anno rispetto a circa 1 GW all’anno degli ultimi 4 anni. Ci si chiede se sono stati valutati i costi per il paese, costi che non sono solo gli investimenti che vengono di solito menzionati per le FER (Fonti Energia Rinnovabile) e quelli addizionabili al sistema elettrico per indispensabili stoccaggi necessari e per avere una adeguata inerzia (non apportata in contributo da eolico e fotovoltaico collegati tramite inverters) ma anche gli eventuali sussidi ed i costi di O&M (operations and maintenance) dei vari impianti. Tanto per dare un numero, i costi di O&M di impianti fotovoltaici in Italia, che hanno in affitto il terreno, ammontano ad oltre 25€/MWh.

Considerando il trend delle emissioni globali di CO2, le emissioni di UE al 2030 sarebbero intorno al 6% del totale e il lodevole obiettivo di azzeramento al 2050 in UE delle emissioni sarebbe sì un buon esempio ma non apporterebbe un sostanziale contributo alla soluzione del problema globale. Occorrerà quindi una visione che vada al di là di una semplice visione UE centrica e l’Italia dovrebbe porsi come paladina per esaminare e proporre nuovi approcci, come un ritorno ad un CDM (Clean Development Mechanism) rivisto ed aggiornato che valorizzi investimenti “verdi” in paesi terzi.

Personalmente, non ritengo che la soluzione di introdurre una penalità alla CO2 nei prodotti importati sia una soluzione positiva. A parte la difficoltà di controllo e distribuzione della penalità tra i vari paesi nella catena della fornitura, dalle materie prime al semilavorato o al prodotto finito importato, il nostro paese, che importa materie prime e semilavorati utilizzati in nostri macchinari ed apparecchiature finali, verrebbe a perdere competitività rispetto a chi non applicasse tali penalizzazioni.

Considerando la nostra posizione geografica ed il problema dell’immigrazione, in un’ottica globale necessaria per una decarbonizzazione sostenibile per tutti, occorre considerare che l’Africa sub Sahariana, con 1 miliardo di abitanti, consuma energia (ed emette CO2) per 1/20 pro capite rispetto alla UE (e tali valori sono da dividere per 10 in alcuni paesi), ha oltre 600 milioni di persone senza elettricità ed il massimo di espansione demografica. L’addizionale miliardo di nuovi abitanti in Africa in pochi decenni (gli attuali cittadini africani hanno 17 anni di età media) hanno il diritto ad un celere miglioramento delle loro condizioni di vita con l’indispensabile accesso a fonti energetiche. L’ India, con i suoi 1 miliardo e 350 milioni di abitanti, considerato un grande emettitore di CO2 dopo Cina e Stati Uniti, emette circa 1/5 pro capite di CO2 rispetto alla UE.

Con particolare riferimento all’Italia, negli approcci alla transizione, per mantenere una competitività a livello paese, occorrerà considerare insieme, con un approccio sistemico, i tre pilatri della transizione: energia, efficienza energetica, mobilità.

A breve, occorrerà investire in quei settori/tecnologie il cui costo della CO2 evitata sia il minimo per raggiungere gli obiettivi ed in quei settori che possono avere una ricaduta positiva sullo sviluppo delle nostre industrie manifatturiere; chiaramente occorre definire sussidi in conto capitale o feed in tariff che, però, non abbiano una lunga durata come si è fatto per le rinnovabili pregiudicando lo sviluppo di tecnologie emergenti. Occorrerà anche definire la fiscalità su prodotti energetici in generale.

Per dare qualche numero:

- 1€ di tasse su 1 litro di benzina equivale ad una tassazione della CO2 pari a 450 €/t CO2 evitata.

- 11000 € di incentivo per auto «verde» (fondamentalmente importata) corrispondono, con una percorrenza media di 15000 km/anno ed 8 anni di vita, a ben oltre 600 €/t CO2 evitata, trascurando gli altri benefici addizionali.  

- Da dati GSE, i 286 €/MWh pagati nel 2019 per incentivi ai 20,6 TWh di FV prodotti con i conti energia in vigore dal 2005 al 2013 (i 2/3 della produzione fotovoltaica totale italiana) corrispondono a circa 350 €/tonnellata di CO2 evitata se prodotta dal carbone (0,85 t CO2/MWh) e ben oltre il doppio se prodotta da cicli combinati.

- A gennaio 2021, in Europa, la CO2 nel suo mercato ETS (Emission Trading System) valeva circa 28 €/ton: andrà ragionevolmente aumentata e sembra che ciò stia avvenendo: a inizio maggio ha sfondato i 50 euro a tonnellata, per la prima volta dalla sua fondazione nel 2005.

 

L’idrogeno verde  

Venendo all’idrogeno (H2) verde da elettrolisi dell’acqua, dopo aver preso atto del fascino della tecnologia in prospettiva, occorre chiedersi perché circolino tanti numeri sulle riduzioni di costo di H2 al kg, sui posti di lavoro che sarebbero creati, ecc. ma ben pochi numeri vengano considerati sulle caratteristiche intrinseche di H2 e sui costi dell’energia agli utenti finali considerando l’intera filiera: produzione, compressione, trasporto, stoccaggio e utilizzi finali.

Tralasciando i dati sui campi di infiammabilità, energia di attivazione e coefficiente di diffusione, importanti per la sicurezza, si menziona raramente che l’energia di H2 per unità di volume, sia allo stato gassoso che liquido (-253 °C di H2), è circa 1/3 di quella del metano mentre, in peso, 1 kg di H2 ha 2,5 volte l’energia di 1 kg di CH4. Inoltre, non si menzionano due eguaglianze fondamentali:

                                           1 kgH2=33,3 kWh       1€/kg H2=30 €/MWh.

Tale bassa densità energetica impatta volumi e costi per trasporto e stoccaggio di H2.

 

Il costo attuale di produzione dell’idrogeno

Secondo la IEA, International Energy Agency, il costo attuale di produzione dell’idrogeno

- da combustibili fossili è compreso fra circa 1 $/kg a 2,7 $/kg, in funzione dei costi locali, dei combustibili fossili e dell’eventuale cattura della CO2 prodotta;

- da elettrolisi è compreso fra 3 e 7,5 $/kg, in funzione dei costi locali di elettricità da FER e relative ore equivalenti/anno;

- da fossili, in Italia, con CCUS (Carbon Capture Use&Storage) della CO2 emessa è valutato da 2,3 a 2,5 Euro/kg e disponibile in due - tre anni.

- da elettrolisi da grossi impianti (utility scale) è almeno 3 volte tale valore.

Occorre subito notare che il prezzo al 2050 (pronosticato da rinomate agenzie energetiche) di 1 €/kg H2 a bocca di elettrolizzatore corrisponde a ben 30 €/MWh, da confrontare con il prezzo medio delle borse UE del gas naturale che nel 2020 era intorno ai 13 €/MWh e che richiederebbe una penalizzazione del metano di circa 100 €/t CO2 per portarlo a 30 €/MWh.

Per i “colori” da attribuire all’idrogeno in funzione della sua produzione non esiste una declaratoria concordata e considererò, anche sulla base dei lunghi colloqui in Abu Dhabi al Congresso Mondiale dell’Energia a settembre 2019:

  • idrogeno “nero”, da combustibili fossili, senza alcuna cattura delle emissioni di CO2 (99% della produzione attuale);
  • idrogeno “grigio “, prodotto con parziali emissioni di CO2 (alcuni includono nel grigio anche il nero);
  • idrogeno “blu”, da energie non rinnovabili ma senza emissioni di CO2 (ad esempio da combustibili fossili con totale cattura della CO2 o con elettrolisi da elettricità da nucleare);
  • idrogeno “verde”, prodotto completamente da energie rinnovabili.

Come ben noto, sono in discussione due alternative di alimentazione di elettrolizzatori da eolico e/o fotovoltaico:

  1. elettrolizzatore alimentato direttamente da una centrale elettrica rinnovabile dedicata e non collegata alla rete. In questo caso non si devono pagare le spese di trasporto e i servizi ancillari del sistema elettrico.
  2. alimentazione da una sottostazione della rete elettrica. Si devono pagare il costo di trasporto e i servizi ancillari di sistema (in Italia, alcune decine di €/MWh a seconda della potenza e della quantità di energia trasportata) per le forniture rinnovabili contrattate con adeguati power purchasing agreements (PPA’s). Ciò si traduce in un costo dell'elettricità più elevato rispetto all’alternativa 1. e quindi di H2. Questa soluzione può beneficiare, tuttavia, del fatto che la variabilità ed intermittenza  della potenza elettrica prodotta da una centrale eolica o fotovoltaica (alcuni esempi di seguito) ed immessa in rete può essere “appiattita” al  punto di prelievo dai servizi accessori forniti dal sistema elettrico, date le facilitazioni alle rinnovabili di poter “spalmare” nel tempo il consumo dell’energia iniettata ed, al limite, rendere il funzionamento dell’elettrolizzatore che la riceve a potenza di alimentazione costante.

Per avere un ipotetico costo più basso di produzione dell’idrogeno (vedremo dopo perché ipotetico) l’orientamento delle agenzie e dei principali operatori è orientata, fino ad ora, verso l’alternativa 1. e vengono dati i costi di produzione al kg di H2 in funzione di:

- capacity factor (vedi più sotto la definizione) annuale della centrale FER direttamente collegata all’elettrolizzatore e non alla rete;

- prezzo dell’energia FER al sito di produzione,

- valore dell’investimento (CAPEX) per l’elettrolizzatore

- efficienza dell’impianto di elettrolisi.

Ricordo che il capacity factor per un impianto di produzione ed il load factor per un impianto utilizzatore, espressi in ore/anno, sono le ore equivalenti al funzionamento a pieno carico per produrre o consumare la totale energia annuale. Per una centrale fotovoltaica (FV) il capacity factor medio in Italia è circa di 1.100 ore/anno, per un eolico è circa 2.050. Per una centrale nucleare francese è oltre 8000 ore/anno. Per avere la stessa energia prodotta in un anno da una centrale nucleare francese di 1000 MW, in Italia, occorrerebbe installare una potenza fotovoltaica di circa 8000 MW od eolica di circa 4000 MW.

Come illustrato nell’articolo Rinnovabili Intermittenti ed Elettrolizzatori: Ostacoli, Costi e Regolazione, le usuali valutazioni del costo di produzione di H2, trascurano il comportamento e le caratteristiche delle varie tecnologie di elettrolizzatori alimentati da eolico e/o fotovoltaico con forte variabilità della potenza erogata. E un impianto di elettrolisi non è un semplice contenitore con 2 elettrodi ma un complesso impianto chimico con vari sottosistemi comprendenti motori, pompe, scambiatori di calore, un sistema elettrico di alimentazione e controllo ecc. Ha, quindi, un comportamento dinamico con le sue inerzie, che è ben diverso da quello rapido del semplice “stack” (cella dell’impianto dove avviene la rottura della molecola dell’acqua in idrogeno e ossigeno al passaggio della corrente). Ad esempio, gli elettrolizzatori alcalini, che sono i più diffusi ed economici ad oggi, non possono funzionare con una potenza inferiore al 20% circa della nominale, non riescono a seguire le forti variabilità e l’intermittenza della potenza che li alimenta ed hanno tempi di attesa di vari minuti per ripartire dopo l’assenza di alimentazione, come di notte con il fotovoltaico, o per prolungate assenze di vento con l’eolico.

La figura qui sotto, per la tipologia PEM, dà un’idea della complessità dell’impianto di elettrolisi (da JRC Report 2018 - EU harmonised terminology for low-temperature water electrolysis for energy -storage applications).

L’effettivo load factor dell’elettrolizzatore risulterebbe ben inferiore al capacity factor della sorgente rinnovabile e l’efficienza di conversione, con la ginnastica di seguire le variazioni delle FER, non sarebbe certo l’efficienza alla potenza nominale usualmente considerata. Inoltre, non sono noti gli effetti sulla durata della vita degli elettrolizzatori e sul decadimento delle loro caratteristiche nel tempo con tale tipologia di alimentazione fortemente variabile, deducibili solo con esperienze di esercizio.

Per poter far fronte a tali sfide, occorre dimensionare eventuali sistemi di storage elettrico e dell’idrogeno prodotto, che aumenterebbero i costi prospettati per il CAPEX degli elettrolizzatori, o considerare una sorgente esterna programmabile per la fornitura di elettricità.

Riporto nelle figure di seguito, a livello esemplificativo, l’andamento della potenza generata da un impianto eolico da 100 MW, in funzione al Sud Italia.

Come può funzionare un elettrolizzatore con tali variazioni annuali (primo diagramma) e con variazioni giornaliere (secondo diagramma) senza sostanziali aggiunte (storage elettrico) o un collegamento alla rete o altre fonti di energia?

E come dimensionare la potenza di un elettrolizzatore alimentato con la variabilità della potenza tra estate e inverno di centrali fotovoltaiche che, in Italia, tutte le notti d’inverno non producono energia per circa 16 ore e, in estate, per 11,30 ore, per un totale di oltre 200 giorni equivalenti all’anno, come dai dati di TERNA per il 2020 sotto riportati?

Supponendo che gli impianti elettrolizzatori possano funzionare efficacemente con tali alimentazioni variabili ed intermittenti e che siano mantenuti ipoteticamente i loro valori di efficienza e dei CAPEX come previsti da IEA,

si arriverebbe oggi a dei valori ottimisticamente bassi del cosiddetto Levelized Cost of Hydrogen (LCOH) che è praticamente il prezzo minimo medio al quale l'idrogeno verde generato dall'elettrolizzatore deve essere venduto per compensare i costi totali di produzione nel corso della sua vita.

Sulla base della metodologia e delle valutazioni riportate in Il Costo dell’Idrogeno Verde, per il 2020 e per diversi valori del capacity factor dell’impianto FER (quindi, superiori al load factor dell’elettrolizzatore), sono riportati i valori di LCOH in €/kg sulla scala a sinistra ed in €/MWh sulla scala a destra, considerando i prezzi offerti nelle ultime aste. Non è stato riportato il risultato comunicato recentemente di 10 $/MWh di un’asta in Arabia Saudita che ha battuto il record degli Emirati Arabi di 13 $/MWh.

I valori calcolati al 2030 di LCOH, con CAPEX indicato da IEA a 450 €/kW ed efficienza al 69%, sono riportati più sotto.

È stato inserito, a titolo di esempio, un prezzo di 32 €/MWh per le rinnovabili, come considerato a livello globale negli scenari della IEA al 2030. Tale prezzo è molto ottimistico per l’Italia, con nuovi impianti per i quali si è supposto un capacity factor di 1500 ore per il fotovoltaico e di 2500 ore per l’eolico, ben superiori alla media attuale; ne risulterebbero 3€/kg H2 per l’eolico e 4 €/kgH2 per FV.

Considerando per il 2050 simili diagrammi, come da Il Costo dell’Idrogeno Verde | l'Astrolabio, appare chiaramente che, anche con ottimistiche ipotesi,  l’Italia con i suoi costi ed il capacity factors di impianti eolici e fotovoltaici non potrà essere competitiva nella produzione di H2 verde in Europa (ad esempio, rispetto alla Spagna per il fotovoltaico e impianti su  Atlantico o mare del Nord e Baltico per off shore wind) per non parlare di MENA (Medio Oriente e Nord Africa), Australia e Cile; occorrerà trarne le debite conseguenze su dove concentrare i fondi a disposizione per avere ricadute sulle nostre industrie,  specie le imprese manifatturiere piccole e medie che presentano alcune eccellenze in apparecchi utilizzatori di idrogeno.

A parte le centrali FER non collegate alla rete  e l’ipotetica assunzione che sia fattibile una efficace produzione di idrogeno con la sopracitata variabilità ed intermittenza dell’alimentazione, un’alternativa - anche in esame da parte di alcuni investitori in  Italia per meglio sfruttare i  vantaggi dati alle rinnovabili dalla regolazione - sarebbe quella di avere un unico proprietario nello stesso luogo sia di centrale FER e sia del “carico” elettrolizzatore; entrambi  sarebbero collegati alla rete  e sarebbe  considerata autoconsumo l’energia fornita  dalla centrale FER all’elettrolizzatore che potrebbe essere dimensionato per assorbire l’energia  al di sotto di una certa soglia di potenza aumentandone il load factor (vedi Il Costo dell’Idrogeno Verde | l'Astrolabio). L’energia FER non assorbita dall’elettrolizzatore verrebbe immessa in rete con un pessimo capacity factor. L’elettrolizzatore sarebbe esente da oneri di rete per l’energia dalla centrale FER nello stesso sito e, inoltre, potrebbe comperare a tariffa dalla rete minime quantità di energia verde per minimizzare i tempi di cold starting o i costi dell’idrogeno non prodotto per potenza di alimentazione inferiore alla minima potenza consentita per il corretto funzionamento dell’elettrolizzatore. Il tutto sulla base di sofisticate ottimizzazioni tecnico economiche che dovrebbero tenere in conto gli investimenti per l’impianto ma anche i servizi ancillari del sistema elettrico, servizi che qualcuno deve poi pagare.

 

I conti della UE che non tornano per elettrolizzatori ed idrogeno prodotto

La UE ha ora in funzione 300 elettrolizzatori piccoli/medi che producono circa 7 TWh di H2 pari a circa il 4% della totale produzione di idrogeno. Il documento «A Hydrogen strategy for a climate neutral Europe» pone l’obiettivo strategico UE di installare almeno 6 GW di elettrolizzatori entro il 2024 ed avere, al 2030, “40 GW di elettrolizzatori per produrre 10 milioni di tonnellate di idrogeno verde” (333 TWh). Ma esistono forti dubbi sui 40 GW di elettrolizzatori necessari per avere 333 TWh di H2 verde (vedi L’era dell’idrogeno è davvero alle porte? \2).  Infatti:

- 40 GW di elettrolizzatori, con un’efficienza del 75% (ad oggi prevista al 2050) e con un teorico load factor di 8760 ore/anno, darebbero 263 TWh di idrogeno verde, pari a 7,9 MT all’anno (non 10 MT, per i quali occorrerebbero 50 GW di elettrolizzatori).

- 333 TWh ipotizzabili per 8760 ore/anno richiedono una connessione alla rete di tutti gli elettrolizzatori (pensati di potenze sempre più elevate, anche dell’ordine dei GW) sfruttando PPA’s con FER da sviluppare in aggiunta a quelle già programmate e da riprogrammare nei vari paesi e che non devono essere cannibalizzate per produrre H2. Considerando un rapporto, come l’attuale, di 1,5 tra potenza eolica e fotovoltaica in servizio ed aumentando i load factors medi EU attuali del 25%, occorrerebbe collegare alla rete circa 85 GW di FV e 125 GW di eolico in funzione prima del 2030; in totale sarebbero 210 GW ben superiori agli 80-120 GW del documento CE.  (vedi https://blog.ilgiornale.it/lombardo/2021/05/15/idrogeno-verde-e-i-conti-ue-che-non-tornano/)

Quali sarebbero i costi effettivi per l’idrogeno, considerando gli sviluppi di rete necessari, gli oneri di sistema e i servizi ancillari da applicare al prezzo di produzione delle varie FER? Quanti dei 210 GW ricadrebbero sull’Italia, in aggiunta ai 53 GW sopra menzionati, in base ai nuovi obiettivi del Green Deal?  Sembra opportuno da parte delle competenti autorità italiane, dimostrando di saper fare i conti, chiedere delucidazioni alla Commissione Europea sulle ipotesi alla base dei conteggi, con quali regole di mercato siano stati effettuati e con quali costi previsti per l’energia che alimenterebbe gli elettrolizzatori.

 

Le sperimentazioni con idrogeno miscelato al metano

Per quanto riguarda le sperimentazioni con idrogeno miscelato al metano (blending) in tronchi di gasdotti, in Italia sono state effettuate 2 serie di prove nel 2019: la prima con una percentuale di H2 in volume del 5% e la seconda del 10%. A causa delle normative che oggi vedono l’idrogeno con cautela, gli esperimenti sono stati effettuati per un tempo limitato (che non permette di evidenziare con sicurezza i potenziali problemi di infragilimento sulle strutture) e su un tronco di gasdotto terminale di circa 1 km, privo di collegamenti a distributori di gas compresso e a sistemi di storage in caverna, non contenente stazioni di compressione o derivazioni verso sistemi di distribuzione. SNAM ha in progetto analisi più approfondite.

Anche confinandosi al solo sistema di trasporto, in aggiunta ai problemi di stoccaggio, occorrerà accuratamente verificare tutti i componenti (come da figura qui sotto da TSO tedesco) ed i costi di modifica/upgrading.

Nell’ipotetico utilizzo su tutta la rete italiana di un blending al 10% in volume di H2, tenendo conto della ridotta energia per unità di volume di H2 rispetto al metano, su 70 miliardi di metri cubi/anno di metano (612,5 TWh) si avrebbe un contributo dell’idrogeno di 7 miliardi di metri cubi/anno (19,3 TWh) che farebbe perdere però  il 7% in potere calorifico di tutta la miscela trasportata (43 TWh/anno); e ciò con svariati impatti da verificare, tra cui l’interoperabilità tra differenti  reti  di gas con poteri calorifici diversi e la riduzione della fatturazione ad utenti per un minor potere calorifico del gas fornito. I vantaggi dichiarati di una riduzione di 13,5 Mt di CO2/anno devono essere quindi confrontati con i costi necessari, da definirsi in dettaglio, dando adeguata penalità alla CO2.

 

L’utilizzo di metanodotti esistenti

Per l’utilizzo di metanodotti esistenti, come ventilato da alcuni, con idrogeno al 100%, a parte le serie verifiche e normative ed eventuali upgrading/sostituzione di sottosistemi/componenti e nuovi standards che sarebbero necessari, a pari pressione si avrebbe meno della metà della capacità energetica di trasporto dell’attuale gasdotto con metano che, con una tubazione di 48 pollici, corrisponde a circa 25 GW che si ridurrebbero a circa 12 GW.

Tralascio le considerazioni sull’efficienza del 30% circa e sui costi della serie di trasformazioni P2G (Power to gas da elettricità ad H2) e G2P (Gas to Power da idrogeno ad elettricità) ad esempio, con fuel cells o speciali turbine ad idrogeno che rendono non certo efficace un P2P (Power to Power), da limitare ad eventuali stoccaggi stagionali, dati i costi. La produzione di metano sintetico da idrogeno e CO2 avrebbe però il vantaggio di utilizzare appieno, con esperienze consolidate da decenni, tutte le infrastrutture esistenti di trasporto, distribuzione ed apparecchiature e macchinari utilizzatori. Una estesa produzione di elettricità sarebbe verde ma a costi ben elevati.

 

Conclusioni

In conclusione, per favorire una partenza dell’idrogeno evitando dannosi stop and go, occorre considerare alcune priorità. Risultano fondamentali:

- una celere e chiara definizione di regole e standards di sicurezza, almeno a livello UE, relative a produzione, trasporto, storage ed utilizzi dell’idrogeno. L’Italia deve impegnarsi per un accordo contribuendo con studi e proposte da opportunamente finanziare (nessun investitore metterà soldi e costruirà impianti senza tali certezze).

- una chiara definizione di regole di mercato su produzione e trasporto e vendita di H2. Cos’è un elettrolizzatore? Un carico programmabile che può favorire il funzionamento del sistema elettrico ricevendo un compenso per i servizi resi? Un produttore del gas idrogeno con un mercato parallelo a quello del gas naturale o un produttore con CO2 di un metano o un miscelatore di H2 nel metano? Se venissero cambiate le applicazioni di pagamenti per trasporto di FER sul sistema elettrico per incentivare inizialmente uno sviluppo di H2 verde, si spiazzerebbero quelli che stanno pensando e progettando realizzazioni di impianti FER dedicati all’idrogeno e non connessi alla rete.

- verificare con valutazioni teoriche validate da impianti sperimentali l’effettiva possibilità di funzionamento di grossi elettrolizzatori alimentati da centrali eoliche e/o fotovoltaiche dedicate e non collegate alla rete, i rendimenti effettivi ed i costi aggiuntivi al puro elettrolizzatore per poter funzionare efficacemente;

- definire un coordinamento tra investitori di impianti di produzione di H2 verde e Terna per la mappatura di possibile localizzazione di grossi impianti elettrolizzatori alimentati direttamente dalla rete con o senza autoconsumo al fine di evidenziare gli impatti sulla rete stessa e servizi che deve fornire;  

- definire chiaramente come evitare, per la produzione di idrogeno verde, la cannibalizzazione di rinnovabili già in funzione, o programmate in ambito PNIEC, per lo sviluppo di EV, pompe di calore ecc. Deve essere stabilito e controllato un principio di addizionalità evitando di dedicare alla produzione di H2 alcuni impianti FER già esistenti e già contabilizzati nel PNIEC;

- approfondire le sfide ancora aperte tecnologicamente ed economicamente non solo per la produzione ma anche per trasporto/distribuzione/stoccaggio di H2 con analisi serie in collaborazione tra entità nazionali e mondiali e realizzare congiuntamente impianti prototipali; solo sulla base dei loro risultati sarà possibile definire obiettivi concreti e scenari credibili a costi sostenibili;

procedere con uno sviluppo coordinato dell’offerta e della domanda; considerando che inizialmente l’idrogeno verde costerà ben di più di quello blu (in Italia da CCUS, Carbon Capture Use &Storage), partire con un iniziale e transitorio utilizzo del blu per far crescere più velocemente una domanda di H2 con costi meno onerosi per il paese;

comunicare chiaramente alla popolazione e clienti finali l’importanza di una soluzione “fossil free” per lasciare un pianeta più vivibile e che questo richiederà maggiori costi diretti (bollette) e/o indiretti (tasse) per l’energia.

Varrà, inoltre, la pena di

- ricordarsi che l’Italia non sarà certo competitiva anche a livello UE nella produzione di idrogeno verde con il suo eolico e fotovoltaico con altri paesi UE (senza considerare, MENA, Australia e Cile), e tanto meno di H2 blu da centrali nucleari ammortate e con sicura estensione della vita; e la UE ha la percentuale di energia elettrica più elevata per fonte (26%) proprio dal nucleare;

- in attesa di mega impianti di produzione e trasporto, considerare anche piccoli impianti modulari già sul mercato e vicini a possibili utenze e FER; in Italia abbiamo già le fabbriche di alcuni produttori;

- ricordarsi il problema acqua: un impianto elettrolizzatore consuma oltre 20 litri di acqua per ogni kg di H2 prodotto;

- procedere con cautela nel proporre ora troppo ottimistici tempi e bassi costi energetici per l’idrogeno;

- ben vengano le proposte della risoluzione: “recupero nelle aree industriali dismesse per la sperimentazione e la produzione di idrogeno da fonti rinnovabili”; “la creazione di una filiera italiana per la produzione di elettrolizzatori”, “lo sviluppo della produzione di celle combustibile in Italia”, verificando tuttavia per elettrolizzatori e celle a combustibile, la reale possibilità di competere con gigantesche multinazionali già operanti.

- ricordarsi che la tecnologia si copia oggi facilmente ed i costi dei prod otti finali dipenderanno dai costi locali di energia e del personale: “un vantaggio innovativo nel settore e la leadership in ambito internazionale” come affermato dalla risoluzione non è scontato (oggi in Cina impianti elettrolizzatori sono offerti attorno a 250€/kW che è un target europeo dopo il 2040); ricordiamoci quanto è accaduto con i pannelli fotovoltaici.

Occorrerà definire un appropriato mix tra un’Italia basata su un’industria manifatturiera ed un’Italia fornitrice di soluzioni/sistemi che, per essere competitiva, dovrà includere i più economici componenti di qualità adeguata; questo implica una profonda riqualificazione delle persone e dell’apparato industriale. Ben venga la proposta della “nascita di nuove start-up, per un programma di formazione e riconversione professionale”.

In ogni caso, tutto ciò dovrebbe rappresentare un grande lavoro, in Italia, per università, istituti di ricerca, regolatori, enti normativi, industrie, TSO e DSO, in tale fase della transizione e per il possibile sviluppo di H2 che richiede rigorose analisi e sperimentazioni con un approccio sistemico e non solo tecnologico, e spirito di squadra per reali ricadute durature sulla nostra industria.