I MATERIALI PER LE PALE EOLICHE
In prossimità della COP27, esplode l’ansia da prestazione dei “profeti del vento”. Ma sapevate che per fare le pale eoliche è aumentato il traffico illegale di legname pregiato dall’Amazzonia? L’autore documenta l’ennesimo danno ambientale e sociale dovuto all’accelerazione irrazionale delle politiche di transizione energetica e alla mancata considerazione dei loro impatti.
In Copertina: Il legno di balsa viene utilizzato come materiale di rinforzo in una pala di rotore lunga 81 metri in uno stabilimento Siemens Gamesa in Danimarca nel febbraio 2022. (© Carsten Snejbjerg)
La balsa è un albero originario del Sud America che cresce soprattutto ai tropici, ogni albero può raggiungere un'altezza di 25-30 metrie l'età perfetta per tagliare l'albero è solo tre o quattro anni dopo la semina, il che consente di ottenere alti profitti in breve tempo.
Si tratta di un albero che viene definito un colonizzatore primario che si insedia in aree precedentemente disturbate, in particolare campi agricoli o pianure alluvionali e con la sua rapida crescita svolge un ruolo rigenerativo nella rotazione ciclica tra foresta e campo dopo la distruzione della foresta primaria. Naturalmente, può essere coltivato anche in piantagioni industriali con rotazioni di raccolta da quattro a sette anni. Le sue caratteristiche di legno leggero ed altamente resistente lo rendono perfetto per molteplici applicazioni dai modellini di aeroplani e ai velivoli veri e propri.
Tra i molteplici utilizzi del legno di balsa c’è anche la produzione delle pale delle turbine eoliche dove la balsa viene inserita tra due "pelli" in fibra di vetro per migliorare la resistenza della pala. Le pale delle turbine sono in parte realizzate in legno di balsa perché è più economico del metallo, più resistente della plastica e, a differenza di questi materiali, è ideale per adattarsi alle sollecitazioni variabili tipiche delle pale delle turbine. Sono necessari, secondo lo statunitense National Renewable Energy Laboratory, per una lama di 100 metri, circa150 metri cubidi legno di balsa. Legno che comunque non viene recuperato a fine vita poiché nelle turbine eoliche convenzionali, che hanno una durata di vita dai 10 ai 20 anni, nelle pale che vengono dismesse, non vale la pena riciclare il legno: sarebbe laborioso e costoso. Wind rush.
La domanda globale di legno di balsa è aumentata vertiginosamente negli ultimi anni, trainata dalla crescente domanda di energia eolica e l’offerta ha faticato a far fronte alla crescente quantità di ordinativi. Oltre alla Cina che assorbe circa il 50% della produzione globale, altri mercati chiave per il legno di balsa sono l'Unione Europea, che importa oltre il 20% del legno di balsa a livello globale, e gli Stati Uniti. I primi cinque mercati dell'UE nel 2020 includevano Danimarca, Polonia, Paesi Bassi, Germania e Italia. La Danimarca ha importato circa 36 milioni di dollari di legno di balsa nel 2020, con un aumento del 95% rispetto al 2019. Gli Stati Uniti importano circa il 7,6% e la balsa è ora la principale specie di legno tropicale importata in volume, rappresentando il 23% di tutte le importazioni di legno tropicale nel 2018.
La crescita esponenziale della domanda spesso comporta l’instaurarsi di meccanismi poco limpidi da parte di chi fornisce la materia prima che cerca ogni strada, lecita e non, per realizzare profitti. Naturalmente tutto questo avviene con maggiore facilità in quei paesi in cui la governance è debole ed i controlli limitati. Il paese che più di ogni altro sta contribuendo al mercato del legno di balsa a livello globale è l’Ecuador che, secondo l’Asociación Ecuatoriana de Industriales de la Madera (AIMA), ha esportato per 570 milioni di dollari nel 2020, con un aumento del 50% rispetto al 2019.
Carico di legno di balsa vicino al Río Napo, Ecuador (© Ivan Castaneira/Agencia Tegantai)
Ecuador e Perù.
Tuttavia, come è già accaduto in molte altre parti del mondo, situazioni come questa, hanno gli effetti di una corsa all’oro per le popolazioni locali, spinte dalla povertà a non porsi troppi scrupoli sugli impatti ambientali delle loro attività.
A rendere esplosiva la situazione si aggiunga che l'Ecuador non dispone dei meccanismi di regolamentazione commerciale e ambientale per prevenire gli impatti sociali, ecologici ed economici negativi del boom della balsa nel paese. L'elevata domanda ha comportato il disboscamento illegale nei territori delle comunità indigene della regione amazzonica ecuadoriana. Rapidamente l’illegalità si è propagata oltre confine offrendo l’opportunità di integrare la produzione ecuadoriana con la balsa raccolta in Perù e trasportata attraverso il confine.
Naturalmente, anche il governo peruviano è stato colto alla sprovvista: le normative non sono ancora chiare sulla produzione di legname forestale secondario e consentono, soprattutto alla luce della limitata capacità di controllo delle autorità preposte, che le piantagioni forestali e le foreste secondarie possano essere sfruttate dai taglialegna illegali. Più di tre quarti (83%) del legno di balsa peruviana è stato esportato in Ecuador, mentre il 17% è stato spedito direttamente in Cina nel 2020.
Il grafico rappresenta le regioni in cui è stata registrata una piantagione. Il recente aumento dell'estensione è probabilmente dovuto all'aumento degli operatori che registrano foreste secondarie come piantagioni piuttosto che dall'investimento in nuove piantagioni industriali. Fonte: Servicio Nacional Forestal y de Fauna Silvestre (SERFOR). Il SERFOR è l'organismo tecnico e normativo all'interno del Ministero dello Sviluppo Agrario e dell'Irrigazione (MIDAGRI) responsabile dell'attuazione della Legge peruviana sulle foreste e la fauna selvatica.
Negli anni 2020 – 2021 secondo il SERFOR ed il SUNAT, Superintendencia Nacional de Aduanas y Administracion Tributaria, in Perù sono stati denunciati dalle autorità competenti peruviane casi di traffico illegale di legno di balsa per 689.500 m3. Nello stesso periodo, le esportazioni di balsa sono triplicate, con il 100% destinato all'Ecuador: quasi tutta la balsa esportata in Ecuador ha attraversato il confine in camion. I dati doganali segnalano come, a fronte di una quasi assenza di esportazioni prima del 2019, si sia passati nel 2021 ad oltre 31.000 m3. Dato quest’ultimo che, se confrontato con quello del traffico illegale, fa ben comprendere l’entità del sommerso.
Deforestazione illegale in Amazzonia
La febbre delle pale eoliche, in reazione alla scarsità di legname coltivato, ha scatenato il disboscamento irregolare e illegale sulla balsa vergine che cresce sulle isole e sulle rive del Rio delle Amazzoni. Le foto satellitari hanno consentito di vedere con chiarezza, nel territorio della comunità indigena Achuar, la totale deforestazione degli alberi di balsa lungo il fiume Pastaza. L'impatto sulle popolazioni indigene che vivono nella zona si è rivelato devastante quanto l'estrazione mineraria.
Per quanto Vestas, abbia dichiarato di aver introdotto i primi modelli di pale interamente in materiale plastico, la posizione dei produttori cinesi è diversa: per molti il legno balsa ha molti vantaggi innati e l’utilizzo di materiali alternativi comporta la riprogettazione per cui, tra test e ciclo di modifica, i tempi potrebbero significativamente dilatarsi. Ma c’è anche chi ritiene che, comunque, l’utilizzo di materiali alternativi come il PET potrà ridurre la quantità di legno di balsa per turbina eolica, ma non sostituirlo completamente.
I profeti del vento.
Con molta abilità, una costante propaganda pseudo ambientalista ha permeato l’immaginario collettivo con l’equazione che energia rinnovabile significhi energia pulita, e che, quasi per osmosi, il primato spetti a quella eolica. Ad esempio, nella Guida ai Parchi Eolici in Italia e nel Mondo, Legambiente spiega con dovizia di particolari, che il vento non inquina e soffia sempre gratuitamente e di conseguenza “la grande sfida climatica può essere vinta puntando su un modello di generazione energetica pulito e distribuito che valorizza i territori, le risorse presenti e rafforza le comunità”.
Peccato che non venga specificato che ci sono altre comunità, significativamente quelle che vivono nei territori da cui provengono le materie prime, per le quali questa miracolosa conversione ecologica non può realizzarsi. Perché queste tecnologie non hanno nulla di pulito. Devastano interi ecosistemi per estrarre le migliaia di tonnellate di materie prime con cui viene realizzata ciascuna turbina eolica. Consumano quantità colossali di combustibili fossili come carbone, nafta, gas naturale e diesel nel loro processo produttivo: dalla fusione del minerale di ferro, ai forni dei cementifici, alla produzione della fibra di vetro, alle navi, camion e macchine edili necessari alla loro movimentazione senza trascurare tutti i lubrificanti derivanti dalla raffinazione del petrolio.
Dovessimo usare la medesima strategia di marketing dei “profeti del vento”, dovremmo chiedere ai loro seguaci se sono davvero convinti di salvare il Pianeta con le pale eoliche visto che per produrle viene utilizzato anche il legno di provenienza illegale dall’Amazzonia, il “polmone verde del nostro Pianeta”.
Forse sarebbe necessaria una maggiore onestà intellettuale per riconoscere che ogni forma di energia comporta effetti ambientali, sia positivi che negativi. Non esiste un modo per ottenere energia in modo pulito, e neppure gratuitamente: bisogna ammettere che ci sono impatti ambientali e costi, fare in modo di rendere minimi gli uni e gli altri e, soprattutto, scegliere le tecnologie in base al confronto accurato di costi e benefici.