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2024-04-18 04:02

Giorgio Ruffolo: “Ambientalisti, Amici Miei”

IL NOSTRO RICORDO

di: 
Rosa Filippini

Giorgio Ruffolo aveva l’attitudine del costruttore. Di politiche, di sistemi, di relazioni. Forse per questo è stato un memorabile ministro dell’Ambiente, il primo dopo l’approvazione della legge 349 costitutiva del Ministero, dal 1987 per 5 anni, in ben quattro governi. Sono gli anni della costruzione del sistema di governo dell’ambiente in Italia e dell’approvazione delle leggi fondamentali, anni memorabili anche nella storia degli Amici della Terra. Dal libro “Ecologia è Buongoverno”, edito in occasione del quarantennale dell’associazione, ripubblichiamo uno specifico ricordo della nostra empatia verso il Ministro e verso la sua visione “riformista”.

In Copertina: Giorgio Ruffolo e Rosa Filippini al Congresso Nazionale degli Amici della Terra - Napoli, 1988.


(…) Le navi dei veleni, i camalli e gli ambientalisti

Fu sul tema dei rifiuti e sulla capacità di assumere responsabilità nella gestione delle crisi ambientali che si consumò per la prima volta una pubblica frattura col resto del movimento ambientalista.

Nell’estate del 1988, fu sequestrata in Nigeria la nave italiana Karin B carica di rifiuti tossici. Un gruppo di Friend of the Earth inglesi arrivò tempestivamente a Port Koko e rifornì la stampa internazionale di notizie inedite e di foto, in accordo e in collegamento con gli Amici della Terra in Italia. La documentazione su una vasta discarica di rifiuti tossici rivelò che era attivo da tempo un traffico di carrette del mare italiane che, cariche di residui tossici, venivano inviate nelle discariche africane o affondate lungo il viaggio.

Gli Amici della Terra utilizzarono il clamore suscitato, anche a livello internazionale, dallo scandalo “delle navi dei veleni” per chiedere al Governo la bonifica dei territori nigeriani compromessi, la rivalsa sulle imprese coinvolte nel disastro, il rientro immediato di tutte le navi italiane col loro carico tossico, un decreto per stabilire il divieto di esportazione dei rifiuti tossici e un piano nazionale per il loro smaltimento in sicurezza. Il partito verde si schierò invece con i “camalli” che bloccarono i porti italiani per impedire, in nome dell’ambiente, l’attracco delle navi che tornavano. Lo stesso atteggiamento fu sostanzialmente condiviso anche dalle altre associazioni ambientaliste.

Il ministro dell’ambiente Giorgio Ruffolo, che fu all’altezza di quell’emergenza emblematica, colse l’occasione per rivolgere un appello agli “Ambientalisti, amici miei” dalle colonne di Micromega (n.4/1988), affinché il movimento decidesse “di assumere maggiori responsabilità” e descrisse in questo modo l’atteggiamento delle associazioni ambientaliste a proposito delle navi:

“Durante la crisi [. . .] ho sentito il bisogno di consultare i rappresentanti delle più autorevoli associazioni ambientalistiche. Mi pareva importante esporre i fatti, e il modo in cui pensavamo di fronteggiarli, per raccogliere critiche, suggerimenti, proposte.

Solo da una parte del tavolo, però, ci fu una drastica presa di posizione (l’allusione è agli Amici della Terra n.d.r.), una richiesta precisa di determinazione e di coerenza nel perseguimento del fine, di riportarsi a casa la nostra “mondezza”. Per la maggior parte, c’era invece un’atmosfera di imbarazzo. Chi diceva di non saperne abbastanza. Chi divagava. Poi una brillante dirigente di un’associazione prestigiosa troncò le ambiguità e disse, con chiarezza, che non amava essere “coinvolta”.

Non coinvolta. E perché? Io penso, cari amici ambientalisti, che dovreste essere coinvolti sempre più. Che il movimento ambientalista non può fare a meno della protesta, della denuncia, della critica rigorosa e severa. Che abbia però eguale necessità di sviluppare un patrimonio di immaginazione progettuale e una strategia di alleanze pragmatiche e programmatiche, le quali prescindono dai riti e dalle convenzioni delle contrapposizioni tradizionali. In questo senso ho parlato di “patto ambientalistico”.

Una Carta degli obiettivi praticabili, con la quale governo e forze politiche e sociali possano concretamente confrontarsi. Che permetta di misurare i costi di un nuovi modi di vivere e di svilupparsi; e la loro distribuzione. Che costituisca la base di un’alleanza riformista tra scienza, industria e ambientalismo. Cari ambientalisti, amici miei: non vale la pena di tentare?”

Anche per raccogliere questa sfida, Mario Signorino (fondatore degli Amici della Terra e, all’epoca, presidente dell’associazione n.d.r.) scrisse un lungo articolo sul numero successivo di Micromega, dal titolo “Se l’ecologista vive di rendita”, in cui espresse i timori per la strada massimalista e perdente che il partito verde andava imboccando e rivendicò apertamente la scelta riformista degli Amici della Terra. (…) Ne riportiamo, di seguito, un brano.

“Navi dei rifiuti: nella fase finale della vicenda e fino alle prese di posizione degli Amici della Terra, gli ambientalisti, che pure hanno denunciato il commercio di rifiuti con il Terzo Mondo, sono presenti solo nelle proteste locali contro l’attracco delle navi; una mozione estiva del gruppo parlamentare verde chiede che le navi vengano mandate nel Nord Europa. Sembra di aver a che fare con albergatori incazzati.
Ricordo ancora le reazioni aggressive e persino di inimicizia quando ci siamo dichiarati contrari all’appoggio indiscriminato a ogni agitazione locale e abbiamo chiesto un intervento nazionale in positivo. Alcuni deputati verdi si sono rifiutati di intervenire al nostro congresso nazionale, quasi fossimo nemici da isolare.

Così, all’ambizione originaria del movimento di contribuire a risolvere problemi concreti si contrappone la rissosità ad ogni costo con il governo, anche quando opera bene. È la logica del partitino di opposizione (…) nella grande vicenda ecologista di questi anni, che sta portando la questione ambientale al centro della politica. Cronache casuali ma chiare: dicono che dappertutto è in corso un processo riduttivo che cancella le novità e le ambizioni dell’ambientalismo, la complessità della sua sfida e del suo modo di essere, per farne materia di un’ennesima “rifondazione” della sinistra minoritaria. Un copione già recitato molte volte e che non prevede il lieto fine. Ho accennato al caso Jenninger per ricordare la centralità della questione culturale, anche ai fini di scelte politiche mature.

Le posizioni espresse da Giorgio Ruffolo coincidono con i problemi che la mia associazione ha già posto all’interno del movimento ambientalista, a cominciare dalla vicenda delle navi, e che sono stati ricondotti a una scelta di “riformismo ambientale” nel documento approvato dal nostro ultimo congresso. Questa convergenza è un segnale importante della maturazione di una prospettiva vincente per l’ambientalismo, in un confronto a tutto campo con la politica, le forze e i poteri che agiscono nella società e nello Stato. La scelta riformista si presenta come la condizione essenziale per il perseguimento di un grande obiettivo: l’individuazione di regole di compatibilità tra gli attuali modi di produzione, consumo e organizzazione sociale, da una parte, e il rispetto dei beni ambientali e culturali, dall’altra.

Se il movimento ambientalista saprà lavorare in questa direzione, si conquisterà un ruolo storico, come forza di progetto e di governo  della nuova ‘grande trasformazione’.”