Oggi:

2024-12-11 08:34

Campi Flegrei, i “Campi Ardenti” dei Coloni Greci

REWIND. DISASTRI NATURALI

di: 
Amici della Terra e Isat

Già nel 2006, con la pubblicazione del libro “Disastri Naturali. Conoscere per Prevenire”, pubblicato a cura dell’ISAT, Amici della Terra metteva in evidenza il problema del rischio vulcanico dei cosiddetti “campi ardenti” dei coloni greci in Campania, che nell’ultimo mese hanno ripreso a tremare. Ripubblichiamo questo estratto del libro in cui viene esaminato il sistema vulcanico dei Campi Flegrei e la sua potenziale pericolosità.

Il distretto vulcanico Flegreo è costituito dai Campi Flegrei e dalle isole vulcaniche di Procida e Ischia. La sua origine è connessa agli eventi tettonici distensivi, legati all’apertura del bacino Tirrenico, che hanno determinato la formazione della Piana Campana e generato le condizioni favorevoli alla risalita dei magmi alcalino-potassici che hanno alimentato l’attività eruttiva del distretto.

I Campi Flegrei (Figura 1) sono un grande campo vulcanico in cui sono stati attivi, negli ultimi 39.000 anni, più di 70 centri eruttivi. 

Figura 1 Carta geologica schematica dei campi Flegrei.Fonte: INGV Osservatorio Vesuviano

L’attuale assetto morfologico è il risultato di due collassi calderici (Figura 2) di vaste proporzioni legati alle eruzioni dell’Ignimbrite Campana (39.000 anni fa) e del Tufo Giallo Napoletano (15.000 anni fa). La prima caldera, più estesa, comprende i Campi Flegrei, la parte meridionale della città di Napoli, la parte settentrionale della baia di Napoli e la baia di Pozzuoli. La seconda, formatasi all’interno di quella dell’Ignimbrite Campana, comprende i Campi Flegrei e la baia di Pozzuoli, ed è caratterizzata da una risorgenza tuttora attiva. 

Figura 2 Carta strutturale schematica dei Campi Flegrei. Fonte: Ridisegnato e modificato da Santacroce et al. (2003).

Immagine tridimensionale dell’area flegrea. Fonte: INGVOsservatorio Vesuviano, Laboratorio di Geomatica e Cartografia.

Nel periodo compreso tra le due apocalittiche eruzioni, si verificarono almeno altre 11 eruzioni esplosive localizzate ai bordi della caldera dell’Ignimbrite Campana e di cui è ancora possibile riconoscere i depositi. Eventuali centri eruttivi presenti all’interno dell’area interessata dalla successiva caldera del Tufo Giallo potrebbero però essere stati completamente distrutti.

L’eruzione del Tufo Giallo Napoletano fu seguita da tre epoche di intensa attività vulcanica, concentrata all’interno o ai bordi della caldera del Tufo Giallo, separate da prolungati periodi di quiescenza (Figura 3). L’ultima eruzione risale al 1538 (eruzione e formazione del Monte Nuovo). Tale fenomeno eruttivo in tempi recenti, associato all’attività fumarolica della Solfatara, ad una pronunciata anomalia  termica nel sottosuolo, ad un elevato livello di sismicità ed a fenomeni bradisimici, testimonia inequivocabilmente che l’attività vulcanica dei Campi Flegrei sta attraversando un periodo di quiescenza che però non si sa quando finirà.

Figura 3 Ricostruzione della storia eruttiva dei campi Flegrei. Fonte: INGV-Osservatorio vesuviano.

Di seguito sono riportate due schede relative al massimo evento eruttivo verificatosi nell’area flegrea (Ignimbrite Campana) ed all’evento massimo atteso nel caso di una ripresa dell’attività eruttiva all’interno del distretto vulcanico dei Campi Flegrei.

Scheda 4 - clicca sulla scheda per visualizzarla

Scheda 5 - clicca sulla scheda per visualizzarla

Pericolosità vulcanica e rischio associato
I Campi Flegrei rappresentano un complesso vulcanico in cui si sono manifestate eruzioni catastrofiche come quelle di 39.000 anni fa (Ignimbrite Campana, eruzione esplosiva con 300 km cubi di prodotti vulcanici deposti con spessori fino a 100 m su un’area di circa 30.000 km quadrati; si è stimato che buona parte dell’Europa sia stata ricoperta da uno strato di circa 1 cm di cenere) e di 15.000 anni fa (Tufo Giallo Napoletano, eruzione simile alla precedente con minor volume di prodotti emessi). Nella comunità scientifica esiste però una quasi totale unanimità nel considerare eventi di questo tipo estremamente improbabili a breve e medio termine. Probabilità più elevate di accadimento hanno eruzioni tipo quella di Agnano-Monte Spina o quella del 1538, che ha portato alla formazione del Monte Nuovo (un conetto vulcanico di 123 metri vicino al lago craterico Averno), preceduta da una crisi sismica e bradisismica.

Le crisi bradisismiche più recenti si sono avute nel 1970-72 e nel 1982-84. Tali crisi rappresentano un ottimo esempio delle difficoltà delle previsioni. Il manifestarsi di classici fenomeni precursori (cambiamento nel chimismo delle fumarole, accentuato sollevamento del suolo a Pozzuoli, intensa attività sismica superficiale) poteva essere sintomatico di una eruzione a breve termine (come, ad esempio, prima dell’eruzione del Pinatubo), che invece non si verificò. Oltre che dal punto di vista vulcanologico, la crisi bradisismica del 1982-84 è importante anche per la valutazione del comportamento di una popolazione impreparata all’eventualità di una eruzione vulcanica. Voci incontrollate, alimentate anche dai mezzi d’informazione, determinarono una generale situazione di panico che produsse diverse vittime per infarto e disordini sociali.

Oltre a ciò, l’evacuazione di circa 40.000 persone dal Rione Terra e la loro rilocalizzazione in aree ad uguale pericolosità vulcanica non diminuirono il rischio. Analogamente al Vesuvio, anche per l’area flegrea esiste un nuovo Piano di emergenza, così come è prefigurato nel documento presentato nel 1995, aggiornato nel 2001 ed attualmente in fase di revisione. Il vecchio piano, redatto nel 1983, prevedeva due scenari eruttivi di gravità crescente (un’eruzione tipo quella del Monte Nuovo nel 1538, un’eruzione tipo quella di Agnano MonteSpina del 4000 a.C.); questo nuovo piano, legato a quello relativo al Vesuvio, invece, si basa su uno scenario eruttivo catastrofico, prevedendo per gli abitanti della maggior parte della zona rossa l’allontanamento preventivo dall’area, con destinazione al di fuori della Campania, nell’ipotesi che si verifichino danni tali da non permettere alla popolazione coinvolta di far ritorno entro breve tempo. Una strategia differenziata, con soluzioni all’interno della regione, verrebbe invece adottata per la porzione di zona rossa che potrebbe essere interessata dal fenomeno del bradisismo.