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2024-03-19 11:35

Cosa c’è Che Non Va Nella Politica Verde

AMBIENTALISMO IN ITALIA E IN EUROPA

di: 
Rosa Filippini

Sulle pagine de La Repubblica alcuni osservatori ed esponenti della sinistra contestano ai verdi di dire sempre No. Avrebbero ragione se l’informazione e la politica non avessero avallato anch’essi l’immagine di un ambientalismo ideologico e catastrofista. A 40 anni dalla loro fondazione gli Amici della Terra ripropongono il filo dell’ambientalismo riformista che ha caratterizzato da sempre la loro visione e le loro iniziative.

Perché solo i verdi italiani, a differenza dei colleghi europei, non hanno registrato un successo alle elezioni europee nonostante il loro messaggio elettorale abbia coinciso con quattro mesi di piazze colme degli studenti dei Fridays for future e, soprattutto, con la loro celebrazione mediatica?  

Gran parte degli osservatori intervenuti sul quotidiano La Repubblica convergono su un giudizio critico sui verdi italiani che sarebbero troppo fondamentalisti, direbbero troppi no, incapaci di quel pragmatismo che consente ai loro colleghi tedeschi di diventare il partito più votato in patria. Dice Manconi, che dei verdi italiani è stato anche portavoce negli anni ’90: “Il tratto saliente dei verdi tedeschi è stato sempre la sagacia politica: la radicalità dell’analisi e gli stili di vita conseguenti non hanno mai fatto velo al realismo politico”.

Angelo Bonelli, attuale coordinatore nazionale dei verdi, difende la sua formazione su questo punto: al partito verde non manca la radicalità dei veti ideologici (No Tav, No Triv, No Tap, no inceneritori) e non mancò il “pragmatismo” di partecipare, negli anni ’90 e 2000, ai governi di centrosinistra lasciando una traccia importante della propria partecipazione nell’adeguamento energetico degli edifici. In realtà, i provvedimenti di efficienza energetica sono effetto semmai delle campagne come quelle degli Amici della Terra mentre la traccia più evidente delle politiche verdi è invece negli spropositati sussidi a eolico e fotovoltaico a terra che gli italiani pagheranno in bolletta fino al 2030 anche se non hanno prodotto che una trascurabile riduzione (qualche zero virgola) delle emissioni che minacciano il clima a livello globale.

Ma il comportamento dei verdi tedeschi e nordeuropei non è (e non è stato) molto dissimile, solo più funzionale agli interessi dei rispettivi paesi: anch’essi sfoggiano posizioni e stili di vita di intransigente contrarietà alla società dei consumi, ma tollerano, o hanno tollerato negli anni, senza troppi drammi, più di un compromesso sulle scelte fondamentali: un sistema quasi tutto nucleare come quello francese; una produzione elettrica basata per il 40% sul consumo di lignite tratta dalle miniere nazionali a cielo aperto come quella tedesca; un sistema di gestione dei rifiuti basato sull’esportazione come quello inglese; sistemi di controllo del mercato alimentare assai carenti come quelli che appena qualche anno fa consentirono il diffondersi del morbo della mucca pazza come quelli di mezza Europa. Spesso poi, gli impegni di riduzione delle emissioni climalteranti al 2020, (quelli che l’Italia ha già raggiunto al 2017) segnano il passo proprio nei paesi dove i verdi contano di più.

Da questo punto di vista l’analisi potrebbe rovesciarsi: perché nonostante queste defaillances e queste evidenti contraddizioni, i partiti verdi europei mietono consensi elettorali così elevati? Inoltre, se accettiamo che l’essenza della politica ambientalista sia nell’immagine intransigente e nell’agire “sagace” o, per meglio dire, tartufesco, ci accorgiamo che anche l’Italia ha espresso la sua bella quota di quello che passa per “politica verde” e, allo stesso tempo, di tutto quello che passa per “pragmatismo”: una formazione politica, quella dei seguaci di Grillo che, mutuando tutte le parole d’ordine dell’oltranzismo verde, ha avuto successo ben prima dei verdi nel resto d’Europa e che, pur di stare al governo, convive “pragmaticamente” con Salvini.

Dunque cosa dobbiamo sperare? La politica ambientalista è tutta da buttare, in Italia e all’estero? Certo che no, ma forse dobbiamo uscire dall’equivoco che sostituisce l’immagine alla sostanza.  Anzi, occorre sottoporre a verifica l’immagine che l’ideologia verde ama dare di sè e che i decisori e i commentatori (di sinistra e anche di destra) spesso rincorrono, ritenendola vincente, a prescindere dal merito, presso l’opinione pubblica.

Spesso, questa immagine consiste in luoghi comuni, che non hanno alcun senso reale, avvalorati solo dal fatto che nessuno si è mai preso la briga di contestarli apertamente.  E’ così per l’acqua pubblica. L’acqua non è mai stata “privata” ma lo slogan fa temere che lo sia o che potrebbe esserlo. Se aggiungiamo il timore di doverla pagare, il gioco è fatto: non si troverà più nessun politico o amministratore disponibile a spiegare che l’acqua è già pubblica ma che, se anche la sua gestione resta in mano ai municipi, non ci saranno mai le risorse da investire in un ciclo integrato, depurazione inclusa, che eviti gli sprechi e le perdite e che salvaguardi la risorsa e la qualità ambientale.

E’ così per i rifiuti: zero rifiuti è un’affermazione senza senso se non sei un eremita. Ma funziona molto bene per chi voglia rappresentarsi come puro e senza macchia. La realtà è al contrario: il ciclo dei rifiuti è così importante che per gestirlo in modo ambientalmente corretto occorrono grandi infrastrutture industriali, comprese discariche e inceneritori. Chi non è in grado di occuparsene a questo livello, esporta i rifiuti o li lascia nelle strade in balia di topi e gabbiani, come accade a Roma.

E’ così per la mobilità sostenibile: nessuno vuole nuovi cantieri vicino casa ma garantire a tutti la libertà di muoversi, limitando i danni al suolo e all’atmosfera richiede utilizzare al massimo il trasporto pubblico su ferro. Che c’entra questo con No Tav?

E’ così anche per il riscaldamento globale: si esaspera un problema in modo isterico ma ci si rifiuta di misurare quali fra gli investimenti possibili siano davvero in grado di ridurre le emissioni nocive al clima globale. Ci si rifiuta di fare i conti con i limiti delle attuali tecnologie dell’accumulo di energia e si pretende di programmare a breve il phase out dei combustibili fossili senza sapere ancora quali siano le alternative.

Se queste fossero le posizioni dei soli partiti verdi, potremmo anche starci. Ma se l’informazione le avvalora acriticamente e il potere le fa proprie, siamo fritti.

Il rischio c’è. Alla vigilia del 2020, la questione ambientale è apparentemente in cima a tutte le agende politiche nazionali e internazionali. In particolare, da quasi 30 anni, i cambiamenti climatici sono oggetto di uno sforzo diplomatico senza precedenti. Conferenze delle parti, summit di capi di Stato, progetti di vincoli alle politiche nazionali e ai sistemi economici come nessun’altra questione di rilievo globale ha mai determinato finora, secondo il copione del massimo allarme (e del minimo impegno effettivo) come se capi di stato e diplomatici fossero gli studenti di Greta e non i massimi responsabili delle politiche e delle strategie da mettere in atto.

I risultati dell’approccio allarmistico sono asfittici. Totalmente inadeguati alle necessità e sproporzionati al prezzo pagato da pochi. Il protagonismo dell’Europa non ha trainato il resto del mondo e nessuno si è posto davvero il problema dell’accesso all’energia nei paesi poveri.

Quello che manca alle politiche ambientali non è una nuova ondata di catastrofismo e nemmeno di “pragmatismo” ambiguo. Piuttosto, è un ambientalismo riformista che va ricostruito in Europa, in Italia, in sede internazionale. Un approccio strategico capace di riprendere, dagli armadi dove è stata relegata, la più felice intuizione del secolo scorso, quella di uno sviluppo sostenibile che non trascuri nessuna delle dimensioni, ambientali, sociali, culturali, indispensabili alla vita sul pianeta e misuri su di esse ogni impegno concreto.

Gli Amici della Terra, che in questi giorni celebrano i propri 40 anni (e più) di vita, non hanno mai abbandonato la strada della responsabilità e del riformismo. Hanno resistito, non intendono mollare il campo e hanno molto da dire in proposito. Interlocutori cercasi. 

Insuccessi verdi e successi gruenen

Può ben darsi che nel contestare ai verdi di dire sempre no i media e la politica non siano coerenti con se stessi, ma rimane il fatto che gli elettori abbiano la netta percezione che le rivendicazioni dei verdi siano per lo più espressione di una non meglio definita ideologia della contestazione. E che quest'ultima invero provenga da dove i verdi affondano buona parte delle loro radici politiche ovvero dalla sinistra extraparlamentare degli anni Settanta la quale, a sua volta, fu responsabile della iperpoliticizzazione contestataria degli ideali del Sessanotto (qui, sia detto per inciso, viene da pensare che l'estrema sinistra italiana, frustrata dalla mancata rivoluzione, abbia cercato di soddisfare la propria aggressività divorando le due forme di cultura post ideologica più interessanti del secondo dopoguerra). Eppure il no-ismo ossessivo dei verdi, pur avendo alimentato nella opinione pubblica un diffuso pregiudizio nei loro stessi confronti e una visione talmente distorta della questione ambientale da far scordare la necessità di affrontarla con un approccio riformista, a ben vedere non è il motivo delle loro sfortune elettorali. Lo avrà indirettamente implicato, ma non lo rappresenta.

Più o meno quindici anni fa, nel voto leggero l'elettorato era discretamente disposto nei confronti dei verdi dimostrando una certa attenzione alla tematica ambientale; ma nel voto pesante si affidava ad altri partiti che fornivano proposte politiche inerenti i propri destini lavorativi, economici e sociali; dunque, per quel che qui interessa, denunciava con chiarezza la assenza di tali proposte da parte dei verdi. I quali, infatti, al proposito si limitavano ad essere alleati di formazioni di estrema sinistra, sostenitrici di ideologie oramai morte e sepolte e come tali in via di estinzione, dimostrando una carenza programmatica fatale; non a caso le proposte dei verdi erano fra loro collegate solo da una ratio ambientalista che agli occhi dell'elettore medio risultava assai debole tanto da apparirgli le une slegate dalle altre e, soprattutto, distanti dai propri bisogni nel breve e nel medio termine. Si aggiunga che colmare tale carenza sarebbe stato assai difficile, se non impossibile, per più motivi: il non avere gli stessi verdi contezza della sua rilevanza, l'essere il dibattito sigillato al loro interno e dedito alle polemiche di lottizzazione anziché aperto e volto alla elaborazione del pensiero politico ambientalista, il nolere i vertici del partito imboccare una strada riformista che avrebbe messo a repentaglio le posizioni raggiunte con la speculazione contestataria; e che oggi, nonostante i fallimenti verdi nel decennio successivo, almeno dal mio modesto osservatorio detta carenza permane intatta.

Quanto ai gruenen vale la pena notare che in primo luogo quindici anni fa la premessa al loro manifesto politico diceva a chiare lettere che esiste l'ambiente, esiste la società e che le esigenze dell'uno e dell'altra devono essere contemperate, implicitamente riconoscendo che non si può avere fortuna politica concentrandosi sulle ragioni del primo e perdendo di vista quelle della seconda; in secondo luogo che oggi è in atto nei Gruenen un processo di revisione della piattaforma programmatica, iniziato nell'aprile 2018 e che terminerà nella primavera 2020, denominato “Nuovi tempi. Nuove risposte” (Neue Zeiten. Neue Antworten) il quale, salvo eventuali imprecisioni di traduzione di cui l'unico colpevole sarebbe il sottoscritto, prende le mosse dalle seguenti n. 6 tematiche:
- L'individuo nell'ambiente fatto dall'individuo
(nuove istanze dell'ecologia)
- L'individuo come capitale e il capitale per gli individui
(nuove istanze dell'economia e della politica sociale)
- l'individuo e la macchina o l'individuo quale macchina
(nuove istanze della digitalizzazione)
- l'individuo e la vita
(nuove istanze per la comunità scientifica e la bioetica)
- l'individuo in un mondo in disordine
(nuove istanze dell'Europa, esterni, sviluppi, politiche per i diritti umani)
- l'individuo e l'individuo e l'individuo
(nuove istanze in una società molteplice e varia)
e prevede un dibattito spietatamente aperto, con l'utilizzo di tecnologie informatiche e la partecipazione di iscritti, quadri dirigenti, rappresentanti nelle istituzioni, simpatizzanti, detrattori, chiese, movimenti per i diritti dei cittadini, rappresentanti dell'economia, sindacati e di chiunque vorrà partecipare.

Sicché, premesso che non guasterebbe aprire un dialogo con i gruenen per meglio capire il loro modo di porsi nei confronti dell'elettorato tedesco, si direbbe proprio che l'insuccesso dei verdi e il successo dei gruenen alle scorse europee costituiscano un fenomeno persino ovvio, giacché i primi hanno una (a quanto pare indelebile) vocazione minoritaria dovuta alla loro chiusura e alla distanza che l'elettore medio sente fra le questioni sollevate e le proprie istanze nel breve e nel medio termine, i secondi appaiono invece avere vocazione maggioritaria giacché pare che, pur ponendo al primo posto la tematica ambientale, non si scordino di essere un partito politico, di essere dunque aperti a ogni dibattito e pronti considerare tutte le istanze degli elettori. Forse addirittura riuscendo in ciò in cui il centro sinistra italiano si ostina a fallire lasciando praterie a disposizione del populismo parambientalista dei cinque stelle, ovvero prospettare alla società nuove idealità e speranze ambientali in grado di prendere il posto delle ideologie novecentesche oramai tramontate. Il che, da un canto basterebbe a rispondere a chi, considerate a buon diritto criticabili alcune posizioni assunte dai gruenen, si chiedesse come il loro successo sia stato possibile; dall'altro sarebbe il segnale di apertura di un nuovo scenario politico europeo nel quale gli Amici della Terra avrebbero assai maggiori possibilità di fare valere le ragioni di un ambientalismo riformista adulto, non allarmista né di facciata, strategico e coerente.