Oggi:

2025-04-28 21:21

Brutto, Cattivo e … Resiliente

LA NUOVA CRESCITA DEL CARBONE

di: 
Agata Gugliotta*

Nel 2024, l’anno che vede chiudere l’ultima centrale a carbone nella patria della rivoluzione industriale (Regno Unito), a livello globale, la domanda di questa fonte segna un nuovo record, in barba a tutte le previsioni che costantemente ne profetizzano un suo ridimensionamento. A crescere sono soprattutto i consumi di Cina e India che più che compensano la minore richiesta che muove dai paesi sviluppati, in primis Stati Uniti ed Europa, dove invece prosegue una politica di phase out.

L’articolo, che compare nella Newsletter GME di febbraio, traccia le principali dinamiche di domanda e offerta che caratterizzano il mercato nell’anno appena concluso, con un focus sui paesi europei e la loro strategia di eliminazione del carbone dai mix energetici nazionali.

In Copertina: Aberaman Miners' Training Centre S.Wales 1951 - Wikipedia


2024: le dinamiche contrapposte lato domanda

Considerata la “fonte energetica del passato”, oggetto da anni di politiche via via più stringenti per la sua graduale sostituzione e sempre al centro di previsioni che ne prevedono il picco imminente, il carbone continua a mostrare la sua resilienza, registrando, nell’anno in questo numero appena concluso, una nuova variazione positiva. Secondo le ultime stime dell’AIE[1], nel 2024, per il terzo anno consecutivo, i consumi di carbone dovrebbero crescere di un 1%. Sebbene si tratti di un tasso inferiore rispetto al 2,5% del 2023, al quasi 5% del 2022 e al 7% del 2021, in valore assoluto, si toccano gli 8,77 mld di tonnellate, il massimo da sempre e quasi il doppio rispetto al dato di inizio secolo.

 Il 2024 conferma alcune tendenze già in atto da anni, in alcuni casi temporaneamente invertitesi nel 2022, segnato dalla guerra russo-ucraina, importante game changer dei mercati energetici. A ripetersi sono: 1) il dato di una domanda asiatica che continua ad aumentare, soprattutto quella che muove da Cina e India; 2) la riconferma del colosso cinese come principale consumatore di carbone al mondo (55% di tutta la domanda globale), mentre all’India spetta il primato di area a più alto tasso di crescita (+6%); 3) l’aumento dell’apporto di carbone dell’area ASEAN; 4) un nuovo massimo negli scambi commerciali; 5) il declino, ormai strutturale, dei consumi in Europa e Stati Uniti.

 

Andamento domanda di carbone 2000-2024 per area

Elaborazioni Rie su dati AIE, Coal2024 Analysis and forecast to 2027

 

Da un punto di vista regionale, oltre metà del carbone consumato a livello mondiale (56%) è richiesto dalla Cina, per cui l’Agenzia di Parigi stima per il 2024 un volume record che eccede, seppur di poco, i 4,9 mld di ton. Nella Terra del Dragone, il carbone è al servizio soprattutto del termoelettrico dove concorre a produrre circa il 60% dell’elettricità, ma è anche energia per l’industria dove soddisfa la richiesta soprattutto di quei comparti energy intensive, come cemento e siderurgia.

Tuttavia, da un confronto con gli anni precedenti, emerge una decelerazione del tasso di crescita della domanda: appena +1,1%, rispetto al balzo del +6% del 2023 e ai tassi a due cifre di tutti gli anni 2000. Un rallentamento riscontrabile sia nel termoelettrico, per il venir meno dell’urgenza verificatasi l’anno prima quando la siccità aveva compromesso la produzione idroelettrica, sia nei consumi non elettrici che risentono di una meno brillante performance economica (stima PIL 2024 +4,8% vs 5,2% del 2023[2]) e della crisi del settore immobiliare.

Segue l’India, seppure a distanza dalla Cina in termini di valori assoluti, che ha consumato circa 70 mln di ton aggiuntive di carbone, per un ammontare complessivo di oltre 1,3 mld di ton., buona parte delle quali, per decisa volontà politica, prodotte internamente. Il paese si conferma come principale driver della crescita della domanda, registrando un +6%, dopo il +10% dei dodici mesi precedenti. A processare carbone sono soprattutto le centrali elettriche che utilizzano questa fonte e la cui produzione consente di coprire il 75% della propria generazione. Nuova Delhi non ha mai fatto mistero di voler contare su questa commodity per soddisfare la crescente fame di elettricità del paese. Non a caso nuovi 50 GW di capacità a carbone sono in costruzione e altri 30 sono in fase di pianificazione. Gli ingenti investimenti in nuove infrastrutture stanno sostenendo la produzione di cemento, mentre avanza il comparto siderurgico: settori altamente dipendenti dal carbone. Recupera il terreno perso nel 2023 il Sud Africa (principale consumatore di questa fonte in Africa, share 85%), dove il superamento di criticità logistiche ha consentito a Eskom, l’utility elettrica statale, di tornare a consumare più carbone: +3%.

A completare la lista dei growing coal buyers vi sono poi i paesi ASEAN che, cumulativamente, centrano una crescita del 7,4% sul 2023, per un volume consumato vicino alla soglia di 500 mln di ton (+34 mln ton). Fra tutti, il dato più interessante è quello dell’Indonesia, che all’interno del blocco assorbe il 50% dei consumi di carbone, fonte che non solo serve ad accompagnare la crescita economica del paese, ma anche a consentire il processo industriale di produzione del nickel, di cui è il principale esportatore al mondo (share del 50%). Richiesto sul mercato oltre che per la produzione di acciaio, anche come minerale cardine della transizione energetica per la realizzazione di auto elettriche e batterie, il nickel utilizza il carbone sia come riducente nel processo elettrolitico sia come fonte di energia vera e propria.

Richiesta in crescita, infine, anche per Vietnam, dove il maggior apporto di carbone ha sopperito all’ammanco di idroelettrico a causa dell’ondata di siccità abbattutasi sul paese, e nelle Filippine, dove è in aumento la domanda di elettricità.

 

Variazione assoluta della domanda di carbone (2024 vs 2023) per principali bacini di consumo

NB: (fra parentesi è indicata la variazione percentuale rispetto all’anno prima)
Fonte: Elaborazione Rie su dati AIE

 

Ai paesi che di carbone ne richiedono in misura maggiore, si contrappongono quelli che, ormai da anni, ne stanno progressivamente riducendo il consumo. In estremo Oriente, Giappone[3] e Sud Corea hanno fatto a meno di circa il 6% di carbone rispetto ai volumi del 2023, preferendogli, per produrre elettricità, il nucleare e le rinnovabili, su cui gli investitori stanno puntando da anni. Nel paese del Sol Levante, tra l’altro, molte delle centrali a carbone hanno un’efficienza inferiore al 40%, ragione per cui il governo si è impegnato a dismetterle entro il 2030.

Simile tasso di decrescita è stimato dall’AIE anche dal lato opposto del globo: gli Stati Uniti hanno ridotto i propri consumi di un 5% (-18 mln ton) – un valore più contenuto rispetto al -17% del 2023 - ma in linea con il calo strutturale di questa fonte nel mix di generazione elettrica, che assorbe il 90% del carbone richiesto dal mercato. Nonostante l’aumento dei consumi elettrici, sostenuti dalla crescente fame di energia dell’IA e dei data center, il carbone non tiene il passo ad un gas a buon mercato[4] e a una buona performance delle rinnovabili (in primis del solare), che crescono complessivamente di un +9%[5] sul 2023, confermandosi seconde nella generazione di elettricità. Risente, inoltre, della perdita di competitività di un comparto alle prese con una normativa via via più stringente e vincoli emissivi per le centrali sempre più severi.

Guardando, infine, al blocco Europa, la domanda di carbone si flette di circa un 8%, tasso che si porta a quasi il 12%, circoscrivendo l’analisi ai soli paesi dell’UE. A fare la differenza è il dato sulla Turchia, che contravvenendo al trend prevalente di decrescita, registra una richiesta in aumento (+3% ca). In UE, così come in altri paesi sviluppati, questa fonte è quasi del tutto destinata al termoelettrico, molto spesso come capacità di riserva attivata per l’adeguatezza del sistema, rimanendo residuali gli utilizzi nei comparti non power.

Secondo i dati rilasciati dal Think Thank Ember[6], per il carbone utilizzato nella generazione di elettricità, il 2024 è stato un anno di primati negativi: data una domanda in aumento dell’1,2% sul 2023, con questa fonte sono stati generati appena 269 TWh (-16% sul 2023), quasi 100 TWh in meno rispetto al dato dell’annus horribilis della pandemia e, per la prima volta, al di sotto dei 300 TWh; dopo decenni, infatti, la quota carbone sul mix elettrico è stata inferiore al 10% (9,8% vs 12% del 2023) e viene superata, sempre per la prima volta, dal solare che, con un output di 304 TWh (+22% sul 2023), raggiunge l’11%. Fanno peggio solo bioenergia e prodotti petroliferi.

 

Mix di generazione elettrica in UE27 da 2000-2024

Fonte: Elaborazioni Rie su dati Ember

 

Le ragioni del declino si ripetono ormai da anni: la sua alta impronta carbonica, una contemporanea virata verso uno sviluppo massiccio delle rinnovabili, energia simbolo della transizione energetica in atto, il rallentamento dei consumi elettrici del biennio 22-23. Negli anni, in ottica di decarbonizzazione e in risposta ai via via più ambiziosi target ambientali imposti dalle istituzioni europee, il carbone è stata la prima fonte ad essere oggetto di importanti scelte di dismissione che ne hanno ridotto progressivamente e, in alcuni casi, irreversibilmente azzerato il suo apporto.

 

UE: le politiche di phase out dal carbone

Nell’anno da poco concluso, nell’Unione Europea, su 27 paesi, solo 17 hanno utilizzato carbone per produrre elettricità e di questi circa la metà per una quota inferiore al 10%. Al di sopra di questa soglia vi sta la Polonia che ancora produce quasi il 54% della sua elettricità da questa fonte, la Repubblica Ceca con il 36%, ma anche altri paesi dell’Est e la “verde” Germania, per 1/5 dipendente da questa commodity. In Italia, nel 2024, da carbone sono stati generati 3,5 GWh (-70% sul 2023), appena l’1,3% della produzione netta di elettricità[7]. Tra chi non ha ricorso al carbone, 6 paesi non lo hanno mai utilizzato nelle proprie centrali: Estonia, Lettonia, Lituania, Cipro, Lussemburgo e Malta[8], mentre in 4 hanno deciso di farne a meno negli ultimi 10 anni. Il primo in ordine di tempo ad essere coal power free è stato il Belgio, dove l’ultima centrale è stata spenta nel 2016. Più che frutto di una scelta governativa, il phase out belga è stato il risultato della spontanea e progressiva chiusura degli impianti esistenti.

Seguono nel 2020: 1) prima l’Austria, dove però la dismissione è avvenuta per scelta volontaria delle utility che operavano le due centrali del paese e non per volontà politica, 2) poi, la Svezia, che ha anticipato addirittura di due anni rispetto al suo cronoprogramma, la chiusura della sua ultima centrale. Nel 2021, è la volta del Portogallo, che è riuscita a fare prima della data del 2030, fissata nel 2017 dall’allora Ministro dell’Ambiente.

Per tutti gli altri Stati membri, invece, ad eccezione della Polonia, i piani di phase out sono già stati avviati, anche se è diverso l’orizzonte temporale per il totale abbandono di questa fonte. Entro il 2030, a farne a meno dovrebbero essere: Spagna, Irlanda e Slovacchia (2025); Grecia (2026); Francia e Ungheria (2027); Italia e Danimarca (2028); Paesi Bassi e Finlandia (2029). Il che significa che complessivamente dovrebbero spegnersi 22 GW[9] su circa 100 ancora operativi.

La volontà di porre gradualmente fine all’utilizzo del carbone è maturata diversi anni fa, ad eccezione della Spagna che ufficialmente si è impegnata solo nel 2020. Per molti paesi, uscire dal carbone, oltre che una scelta obbligata in ottica di decarbonizzazione, è stata conseguenza del suo declino naturale, che l’ha portata ad essere via via sostituita da fonti alternative, in primis rinnovabili, che, insieme a una normativa sempre più severa in termini di emissioni, la rendevano poco conveniente.

Questo non significa che l’exit strategy sia stata facile e indolore: al contrario è stata oggetto di critiche (c’è chi temeva una maggiore dipendenza energetica, si veda la Francia); si è confermata dispendiosa (per le misure di compensazione in molti casi riconosciute alle centrali in chiusura) e in alcuni casi una scelta “inefficiente” (in Olanda si spegneranno centrali di nuova generazione entrate in funzione appena da un decennio). Fattori che, a seguito dello scoppio della guerra russo-ucraina che ha riportato in cima all’agenda dei governi il tema della sicurezza energetica e della diversificazione delle fonti di approvvigionamento, hanno procrastinato in avanti i tempi cessazione precedentemente fissati (si veda l’Ungheria, la Francia).

L’Italia, in linea con altri paesi europei, si era assunta l’obiettivo dell’abbandono del carbone già nella Strategia energetica nazionale (SEN) del 2017, salvo poi ribadirlo con maggiore accuratezza, nel PNIEC del 2019 soprattutto relativamente alle condizioni indispensabili per poterlo realizzare: contestuale crescita della produzione da FER e di interventi infrastrutturali (generazione flessibile, sviluppo delle reti e incremento dei sistemi di accumulo, nuova generazione a gas).

Fino all’emergenza gas seguita alla pandemia da Covid 19 e alla guerra russo-ucraina, la timeline con abbandono totale fissato per il 2025, fissata dal PNIEC, era stata complessivamente rispettata, ma il mutare dello scenario internazionale, il venir meno del gas russo e il verificarsi di condizioni climatiche avverse (siccità e prolungate ondate di caldo estive) hanno costretto a rivedere le condizioni di sicurezza del sistema energetico nazionale, rendendo indispensabile il ricorso a misure emergenziali, compresa la massimizzazione delle centrali a carbone[10]. Inoltre, la necessità di garantire il fabbisogno energetico alla Sardegna ed evitare scompensi all'intero sistema elettrico ha poi portato a una ridefinizione del cronoprogramma del phase out, che, come confermato dal PNIEC del 2024 [11], sarebbe dovuto avvenire in maniera progressiva e a scadenze differenziate fra le centrali su terraferma (2025) e quelle in Sardegna (2028). Ad oggi, rimangono ancora da dismettere 4,65 GW di impianti, di cui 1 GW in Sardegna, che, sulla base dei più recenti impegni presi dalle compagnie e dal governo dovrebbero essere chiusi entro i tempi concordati, senza cambi di rotta.

Oltre il riferimento temporale del 2030, verranno spente tutte le centrali di Romania (2032); Repubblica Ceca, Croazia e Slovenia (2033); Germania (2038); Bulgaria (2038-2040). Le date indicate dovrebbero essere il termine ultimo di spegnimento, ma in alcuni casi, la dismissione potrebbe essere anticipata. Ad accomunare molti di questi paesi, è il ruolo che il carbone ha rivestito e/o continua a rivestire nei loro mix energetici e nel tessuto economico produttivo, in quanto generatore di PIL e di posti di lavoro nei bacini minerari carboniferi. Il che spiega l’allungamento dei tempi e la difficoltà di accettazione sociale.

Per alcuni di questi paesi, come la Croazia, la chiusura delle centrali a carbone è stata una delle condizioni poste per l’accettazione della richiesta di adesione all’Unione Europea, per altri è stata una scelta imposta dall’alto per rispettare la normativa europea via via più vincolante a livello ambientale. Prova ne sono i tentativi della Bulgaria di ottenere sempre nuove deroghe da parte delle istituzioni comunitarie per mantenere in funzione le centrali, non previste in chiusura prima del 2038-2040.

Anche la Germania, oggi leader europeo nello sviluppo delle fonti rinnovabili e pioniere di politiche green, ha trovato non poche difficoltà nell’abbondono del carbone. Paese a forte tradizione carbonifera, per numero di occupati e per l’apporto di questa fonte alla generazione elettrica (20 anni fa copriva uno share del 50%), dopo un iter legislativo lungo e complesso, solo nel 2020 è riuscita ad adottare la legge per l’uscita dal carbone. Un phase out accettato solo a patto che fosse stato progressivo (e interessasse prima le centrali ad hard coal e poi quelle a lignite), diluito nel tempo (con estensione fino al 2038) e prevedesse laute misure di sostegno e compensazioni per le regioni carbonifere del paese e le utility interessate, nonché il ricollocamento dei lavoratori tecnicamente specializzati in altri settori produttivi altamente innovativi.

Unico paese all’interno dell’Unione, ma non in Europa[12] intesa come continente, in cui una exit strategy non è nemmeno in discussione è la Polonia. Il carbone rappresenta per Cracovia non solo una fonte con cui produrre energia elettrica (56% nel 2024). Sulla disponibilità a livello domestico di abbondanti riserve di carbone si è fondato lo sviluppo economico e industriale della nazione e in parte, la sua sicurezza energetica, vista la scomoda vicinanza con la Russia. Le regioni carbonifere del paese esercitano ancora oggi un’influenza politica notevole, rendendo difficile per i governi avanzare politiche di dismissione, nonostante le pressioni delle opposizioni e gli obblighi comunitari spingano verso un processo di transizione.

 

Politiche di phase out in Europa e % carbone nel mix elettrico dei paesi UE 27

Fonte: Elaborazione Rie su dati Ember e Beyond Fossil Fuel

 

Alla disamina delle politiche di phase out dei paesi dell’Unione, vanno aggiunte, le scelte di UK e Turchia, simboli del dicotomico trend di utilizzo del carbone in Europa.

Il 30 settembre 2024, dopo 140 anni di utilizzo è stata chiusa l’ultima centrale elettrica a carbone del Regno Unito, primo paese del G7 ad essere coal power free. Lo spegnimento di Ratcliffe assume una potente valenza simbolica, non tanto per quello che il carbone ha rappresentato negli ultimi anni (se nel 2012 ancora copriva il 40% della generazione elettrica, nel 2024 le centrali hanno lavorato solo qualche ora) ma per quello che è stato nel passato. Perché se è vero che il Regno Unito è stata la culla della rivoluzione industriale, è altrettanto vero che il carbone è stata l’energia che l’ha messa in moto. Il carbone serviva ad alimentare le fabbriche, ad illuminare le città e a fare muovere i treni. Era il 1882 quando fu realizzata a Londra la prima centrale elettrica a carbone del mondo, the Edison Electric Light Station, ed erano i primi anni del 900 quando UK esportava questo minerale in ogni parte del globo, tanto da essere definita l’Arabia Saudita del carbone.

Con gli anni, però, da fonte di energia prediletta per molti usi finali, il carbone è stato relegato principalmente alla generazione di elettricità, settore nel quale il suo ruolo si è andato via via annullando. Un declino imputabile al concomitarsi di vari fattori: 1) fissazione di obiettivi politici chiari ed ambiziosi in materia ambientale, necessari visto il livello intollerabile di inquinamento dell’aria; 2) la decrescente profittabilità del carbone, la cui redditività è stata compromessa dai vincoli emissivi delle centrali sempre più difficili da centrare, specie per quelle più obsolete, e dall’introduzione dell’ETS prima (2005) e del meccanismo del carbon price floor (CPF) dopo (2013). Quest’ultimo fissava una soglia minima di prezzo per le emissioni di CO2, rendendo più costoso produrre elettricità con il carbone rispetto al gas naturale. 3) La forte penetrazione delle rinnovabili, soprattutto di eolico, che grazie al progressivo calo dei costi e alla diffusione su larga scala ha attirato ingenti investimenti, fino a competere con il gas per il ruolo di prima fonte di generazione del paese[13].

Tra chi, al momento, nonostante le pressioni per un cambio di rotta, non ha nei piani di fare a meno di carbone,  rientra a pieno titolo la Turchia, dall’anno scorso primo consumatore di questa fonte nella generazione elettrica del continente europeo. Ragioni di sicurezza energetica, ma anche opportunità economica (ad es. l’importazione a buon mercato del carbone russo soggetto alle sanzioni occidentali), hanno spinto i vari governi succedutisi a non negare il proprio supporto a un settore che ancora oggi soddisfa una quota del 36% di tutta l’elettricità prodotta, in linea con gli ultimi dieci anni, e senza accenni di inversione del trend. Agli investitori continuano ad essere riconosciuti generosi sussidi statali, esenzioni, altre forme di incentivo, così come scontato è il supporto a politiche di retrofitting delle centrali più vecchie e inquinanti.

 

Produzione: continua a stare al passo della domanda

Il binomio crescita dei consumi uguale crescita della produzione si ripropone anche nel 2024. L’anno scorso, secondo le prime stime dell’AIE, per la prima volta nella storia, sono stati superati i 9 mld di tonnellate. Così come per la domanda però, la velocità con cui i volumi estratti sono cresciuti si è ridotta notevolmente, appena lo 0,8% vs il 3,4% dell’anno precedente.

Principale produttore al mondo si conferma la Cina con oltre 4,6 mld di ton., mentre il paese che più di tutti contribuisce all’incremento continua ad essere l’India. Dopo il 10% dell’anno precedente, l’output carbonifero indiano fa un balzo di un nuovo 8% per un volume prossimo a 1,1 mld ton. Tanti gli sforzi fatti dal governo per modernizzare il settore e superare le criticità, soprattutto quelle logistiche e infrastrutturali, indispensabili per attrarre gli investimenti per lo sfruttamento di nuove miniere.

Segno più anche per l’Indonesia (+3,4%), terzo produttore al mondo, che però rallenta la sua corsa produttiva rispetto all’anno prima, quando aveva conosciuto un aumento a due cifre, e in Sud Africa (+1%). Stabile la produzione australiana, di fatto destinata per i 4/5 all’esportazione, mentre ormai strutturalmente in calo quella degli Usa e dell’Europa.

Nel paese a stelle e strisce, l’output carbonifero dovrebbe diminuire di un 12%, sulla scia di una minore richiesta e di un’abbondanza di scorte accumulate ancora da smaltire.

In Europa, a trainare il settore è il blocco Germania e Polonia che da solo produce l’80% del carbone del continente. L’anno scorso però le quantità estratte si sono ridotte di un 13%, soprattutto quelle di lignite, destinata principalmente per la generazione di elettricità. Bassi prezzi, minore richiesta e la spietata concorrenza di altri fonti, le cause principali del declino.

Conclusione

L’analisi dei dati sul 2024 ci restituisce ancora una volta la fotografia di un mercato ad andamenti contrapposti, ma che globalmente continua a crescere. Nonostante gli sforzi compiuti in ottica di decarbonizzazione, gli ingenti investimenti in energie rinnovabili e i numerosi impegni nei consessi internazionali, ancora oggi, a livello mondiale, il carbone è la prima fonte di energia nel termoelettrico, assorbendo una quota del 35%, in lieve calo rispetto al picco del 41% del 2007, ma ancora troppo alta per il raggiungimento degli ambiziosi quanto necessari obiettivi del net zero.

Le previsioni indicano il picco dei consumi già al 2027, ma i piani di espansione della flotta di centrali e del numero di miniere da sfruttare danno contezza di un settore ancora robusto.

E questo perché se è vero che per Europa e USA, dopo anni di inarrestabile declino, il carbone è quasi storia, è altrettanto vero che per Pechino il carbone è sicurezza energetica, mentre per Nuova Delhi è l”energia”, per lo più prodotta internamente, che serve a soddisfare la propria crescente domanda.

 

* Agata Gugliotta è redattrice di RIEnergia

 

Riferimenti:

  1.  AIE, Coal2024 Analysis and forecast to 2027, dicembre 2024;
  2.  International Monetary Fund, World Economic Outlook (October 2024) - Real GDP growth;
  3.  Il Giappone dall’incidente di Fukushima del 2011 ha riattivato ben 14 centrali reattori nucleari, due dei quali nel 2024. Il governo inoltre prevede un’estensione della vita delle centrali fino a 60 anni;
  4.  Nel 2024 in media annua i prezzi all’Henry Hub si sono attestati su valori di poco superiori a 2 doll/Mbtu;
  5.  EIA DOE, New solar plants expected to support most U.S. electric generation growth, 24 gennaio 2025;
  6.  Ember, Electricity Data Explore;
  7.  Terna, Rapporto Mensile sul Sistema Elettrico, Dicembre 2024;
  8.  Allargando a tutti i paesi dell’Europa, a questi sei si aggiungono Albania, Svizzera e Norvegia;
  9.  A questi andrebbero aggiunti 12-13 GW che entro il 2030 non saranno più operativi in Germania, secondo il cronoprogramma stilato dalle autorità governative;
  10.  Gugliotta A., Il carbone: ancora protagonista del mix energetico, in Newsletter GME, n. 164, Novembre 2022;
  11.  PNIEC, giugno 2024;
  12.  Vi sono anche Bosnia, Kosovo e Turchia
  13.  Secondo i dati preliminari di Ember nel 2024 l’eolico ha superato il gas, seppur di poco, come prima fonte nella generazione elettrica.

Il combustibile democratico

Come sempre molto obiettive le valutazioni che L'Astrolabio propone anche sul tema: Energia e Clima.
Ottima questo riassunto sulla situazione mondiale che riguarda il Carbone, la 1° Fonte per la produzione di Elettricità nel mondo. E di Elettricità ne servirà ancora molta nel prossimo futuro, soprattutto per dare accesso allo sviluppo ai troppi Paesi sotto sviluppati del Pianeta dove vive oltre 1/3 della popolazione mondiale, spesso in condizioni davvero miserevoli.

Approfitto per dare qualche aggiornamento in merito agli USA (che nell'articolo si dice siano in costante e continua decrescita nel suo utilizzo. Vero, ma fintanto che permaneva la Presidenza Biden.
Con l'inizio del 2° mandato Trump le cose stanno velocemente cambiando, soprattutto nell'interesse di quel grande Paese.
Vi propongo di leggere questo interessante articolo, che riprende quanto dice il nuovo Segretario del DoE Chris Wright:
https://www.instituteforenergyresearch.org/fossil-fuels/coal/doe-secreta...
DOE Secretary Wright: Coal is Critical to Meeting Energy Demand - IER

Certo la UE continua a fare la "mosca cocchiera", a causa dell'infausta e fuorviante teoria del "Green Deal", almeno fintanto che non ci sarà un inevitabile e doveroso risveglio. Le premesse del candidato nuovo Cancelliere tedesco Friedrich Merz sembrano essere un buon viatico. Speriamo.

Colgo infine l'occasione per segnalare la pubblicazione in questi giorni di un mio saggio sul Carbone: "Il combustibile democratico" ora disponibile in tutte le più autorevoli librerie.
https://www.ibs.it/combustibile-democratico-oltre-pregiudizi-storia-libr...

Forse utile leggerlo, soprattutto per chi ha letto quello sopra.