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2024-03-29 16:58

Fanghi a Norma

SPARGIMENTI AGRICOLI

di: 
Giovanni Barca

Nessun cambiamento di metodo e di merito da parte del nuovo Governo circa la gestione dei rifiuti, in particolare dei fanghi, provenienti dagli impianti di depurazione delle acque reflue civili o assimilabili. Di metodo, perché ancora una volta si rinuncia ad una norma organica per fronteggiare l’ennesima emergenza e, nel merito, poiché questo decreto non risolve tutti i problemi in essere e lascia nell’incertezza operatori di settore e organi di controllo producendo, con ogni probabilità, altri contenziosi.

Il decreto legge per Genova e altre emergenze contiene all’art. 41 “Disposizioni urgenti sulla gestione dei fanghi di depurazione”, con cui stabilisce che, ai fini dell’utilizzo in agricoltura dei fanghi di depurazione, gli idrocarburi (C10-C40), non devono superare il limite di 1.000 mg/kg tal quale.

L’inserimento di questa norma è stato motivato dal governo con il fatto che il decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 99, “Attuazione della direttiva n. 86/278/CEE concernente la protezione dell'ambiente, in particolare del suolo, nell'utilizzazione dei fanghi di depurazione in agricoltura”, non stabilisce alcun limite per gli idrocarburi. In assenza di limiti nazionali, la giunta regionale della Lombardia, con deliberazione dell’11 settembre 2017 aveva approvato una Allegato che fissava un limite per gli idrocarburi C10 e C40 di 10.000 mg/kg di sostanza secca. Contro questa delibera, molti Comuni lombardi, interessati dallo spandimento dei fanghi nei loro territori, avevano fatto ricorso al Tar, ritenendo il limite troppo elevato.

Il 20 luglio scorso, il Tar della Lombardia ha annullato la delibera della Regione per diverse motivazioni ,tra cui:

- la regione non è competente a disciplinare la materia, bensì lo Stato;

- i limiti per gli idrocarburi pesanti disciplinati dalla Regione Lombardia sono in contrasto, superiori, a quelli del Codice ambientale relativi alla bonifica dei siti inquinati, Tab A terreni residenziali e B terreni industriali (rispettivamente 50 mg/Kg e 750mg/Kg).

Il Tar ha fatto proprie alcune considerazioni di una recente sentenza della Cassazione che sostiene che:

- il rifiuto che si mischia al terreno non può avere valori di inquinanti superiori a quelli che il terreno stesso deve avere per non esser soggetto a bonifica,

- il limite previsto dalla regione Lombardia per lo spandimento dei fanghi in agricoltura è superiore a quello dell’accettazione dei rifiuti in discarica previsto dal decreto legislativo. n 36/03 (500 mg/Kg).

Richiamandosi alla stessa sentenza della Corte di Cassazione, il Tar ha fissato un limite per gli idrocarburi pesanti di 50 mg/kg, che è il limite previsto per il loro utilizzo per il verde pubblico.

A questo punto, nei depuratori lombardi si è determinato un accumulo di fanghi non utilizzabili in agricoltura e che potevano essere solo smaltiti in discariche o inceneritori, oppure inviati all’estero. Di qui la decisione di introdurre il limite di 1.000 mg/kg nel decreto per Genova, che riprende quello di una proposta di decreto predisposta dal precedente ministro dell’Ambiente, Galletti, che però non aveva completato il suo iter. Il ministro dell’Ambiente, Sergio Costa, ha assicurato che, dopo questa norma dettata dall’emergenza conseguente alla sentenza del Tar, interverrà con un provvedimento organico.

Il limite di 1000 mg/kg di idrocarburi sul tal quale di fango introdotto dall’ articolo 41 del DL 109 significa che nel fango secco ci possono essere quantitativi di idrocarburi superiori in dipendenza del contenuto d’acqua del fango originario (o tal quale). Grosso modo, il limite di 1000 sul tal quale significa un limite di 5000 sul secco.

L’articolo nulla dice sul contenuto in acqua dei fanghi tal quali. Non disciplina i metodi analitici che servono per le caratterizzazioni del rifiuto all’origine, per le necessarie autorizzazioni ed i successivi controlli. Non viene specificata alcuna distinzione tra gli idrocarburi pesanti di natura antropica e quelli naturali. Tale superficialità normativa, probabilmente non casuale, produrrà interpretazioni assai diverse e probabili contenziosi.

In un’intervista alla trasmissione Zapping su Radio1 Rai, il ministro Costa ha ripetuto più volte che si parla solo dei fanghi della depurazione di attività domestiche e non dei fanghi industriali.

In realtà non è così, perché il decreto legge in discussione rinvia alla definizione di fanghi contenuta nell’art. 2, comma 1, lettera a), del Decreto legislativo 99/1992. Secondo tale definizione, sono considerati “fanghi” i residui derivanti dai processi di depurazione:

1) delle acque reflue provenienti esclusivamente da insediamenti civili;

2) delle acque reflue provenienti da insediamenti civili e produttivi; tali fanghi devono possedere caratteristiche sostanzialmente non diverse da quelle possedute dai fanghi di cui al punto precedente;

3) delle acque reflue provenienti esclusivamente da insediamenti produttivi; tali fanghi devono essere assimilabili per qualità a quelli di cui al punto 1).

Sempre incerto, per altro, rimane il metodo di assimilazione degli scarichi industriali a quelli civili normalmente regolati, in maniera disomogenea, dalle varie Autorità d’Ambito. Visti i tessuti urbanistici dei nostri territori e visto come è realizzato e gestito il sistema fognario e depurativo, bisognerebbe anche chiedersi se sarebbe davvero possibile una distinzione tra scarichi civili e industriali.

Il richiamo alla ricerca dei marker di cancerogenicità, peraltro non specificati, inserito come salvaguardia (del legislatore?) non sembra poter dipanare una materia che rimane complicata né agevolare la corretta gestione dei rifiuti.

Il limite sugli idrocarburi per l’utilizzo dei fanghi provenienti da impianti di depurazione civili e assimilabili in agricoltura introdotto dall’articolo 41 si aggiunge ad un lungo elenco di limiti per gli idrocarburi già presenti nella normativa ambientale. Non pare immediata la congruenza del limite introdotto per i fanghi con tutti gli altri. Per esempio, il limite degli idrocarburi per le acque sotterranee e anche quello per le acque superficiali sono assai più bassi e potrebbero non esser soddisfatti ad una puntuale verifica in campo. Anzi la verifica della qualità delle acque superficiali e sotterranee potrebbe essere il vero marcatore della bontà della pratica agronomica relativa all’utilizzo dei fanghi.

Infine, non sembra che la norma introdotta dal decreto “Genova” sia in grado di superare concretamente tutte le considerazioni del Tar e della Cassazione come quelle sinteticamente riportate.

Ciò detto, la corretta soluzione della gestione dei fanghi di depurazione dovrebbe essere così articolata:

- una parte avviata al recupero energetico

 -una parte, di cui si possa garantire la qualità perché proveniente da processi produttivi che non contengono sostanze dannose all’origine (o perché trattata in impianti adeguati), avviata ai campi per non far impoverire i terreni di sostanza organica e sostanze nutrienti quali l’azoto.

Per questo sarebbe necessaria una corretta pianificazione /programmazione che prescinda dalla natura urbana o speciale del rifiuto e che rispetti la gerarchia delle norme comunitarie.

Nessuna norma tecnica, anche meglio scritta, potrà sopperire davvero alla mancanza di programmazione ed evitare croniche emergenze.