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2025-06-17 00:41

Involucra Non Sunt Multiplicanda Sine Necessitate

REGOLAMENTO EUROPEO IMBALLAGGI

di: 
Antonio Massarutto

L’autore, docente di Economia Pubblica all’Università di Udine, esamina il testo del Regolamento UE 2025/40 sugli imballaggi, approvato in via definitiva dopo un travagliato percorso attraverso due legislature. Le numerose modifiche della proposta iniziale complicano ulteriormente una disciplina difficile da decifrare negli effetti che potrà avere. L’unica certezza è che aumenterà, di molto, il fardello burocratico per produttori e utilizzatori finali.
Una versione in forma ridotta del presente articolo è stata pubblicata sulla testata online Green Report il 09/04/2025

In Copertina: Foto Rosa Filippini / Amici della Terra


L’economia dei pani e dei pesci

L’economia evangelica postula che la moltiplicazione dei pani e dei pesci è funzione dell’intensità della preghiera e del fervore della fede. Se hai fede e preghi a sufficienza, il buon Dio ti fornirà il pane quotidiano, quanto te ne serve per soddisfare i tuoi bisogni.

L’economia capitalista innova questo meccanismo, postulando quella che Marx sinteticamente chiamò “produzione di merci a mezzo di merci”. Per moltiplicare pani e pesci si deve produrre pani e pesci, usarli per nutrire lavoratori e macchine che produrranno altri pani e altri pesci in misura sempre maggiore in funzione della quantità di macchine, che dipende a sua volta dalla quantità di pani e pesci messa inizialmente da parte per nutrire lavoratori che, anziché pani e pesci, produrranno macchine.

Oggi possiamo acclamare un nuovo modello, che funziona in base alla seguente equazione: la quantità di pani e pesci, divisa per il volume degli imballaggi, produce una moltiplicazione delle scartoffie. Produzione di scartoffie a mezzo di scartoffie: è questo il fine ultimo dell’attività produttiva; pani e pesci sono solo un mezzo.

Il modello si basa su un’intuizione potenzialmente feconda: il benessere sociale non dipende più come in passato dalla quantità di pani e pesci (ne abbiamo, anzi, troppi e non sappiamo bene cosa farcene), ma dalla quantità di scartoffie. Queste permettono infatti di trasformare un’economia vocata alla produzione di beni in un’economia in cui tutto gira vorticosamente a vuoto in funzione della produzione di informazioni, la cui disponibilità a sua volta non serve praticamente a nulla, se non a dare a un esercito di consulenti il modo per guadagnarsi la propria fetta di pane e di pesce. Una sorta di Azione Parallela, di musiliana memoria.

In un mondo in cui i pesci vengono pescati da pescherecci a timone autonomo, i pani si cuociono da soli in forni completamente automatici dopo un impasto fatto a sua volta a macchina usando farine macinate da robot, la logistica è affidata ai droni e perfino i pescherecci, i forni e le impastatrici vengono costruiti da altri robot, agli umani in carne e ossa non resta molto altro da fare – almeno finché l’intelligenza artificiale non avrà imparato a sostituirli anche nella produzione di scartoffie, giorno forse non tanto lontano.

 

L’economia della burocrazia

Fino ad allora, invece che produrre pani e pesci (o macchine), insomma, dedicheremo il nostro tempo a misurare e riferire con precisione i centimetri cubici di spazio vuoto contenuto nelle scatole dei cioccolatini, a contare numero, capacità e peso dei contenitori riutilizzabili che mettiamo a disposizione dei nostri clienti e in quanti cocci si rompono quando cadono, a tenere una contabilità separata delle fette di prosciutto e dei chili di arance per i quali utilizzeremo i contenitori che ogni cliente si porterà diligentemente da casa, dopo aver dedicato una parte imprecisata del suo tempo a lavare, catalogare e riporre scatole, vaschette e bottiglie vuote (c’è chi colleziona orologi e francobolli, chi preferisce i barattoli). Ogni falsa dichiarazione sarà punita severamente, quindi lavoro anche per gli avvocati e i consulenti tecnici di ufficio negli inevitabili contenziosi.

Quello che avete appena letto non è la trama di un romanzo inedito di Philip Dick, ma un fedele riassunto di alcuni tra i più salienti contenuti del Regolamento europeo sugli imballaggi e rifiuti da imballaggio, che dopo un travagliato percorso attraverso due legislature ha finalmente visto la luce come Reg. UE 2025/40.

Il lettore affezionato ricorderà forse che ce ne siamo occupati su queste colonne nel maggio 2023, quando ancora pendeva l’approvazione del Parlamento Europeo del testo licenziato dalla Commissione. L’articolo di allora, basato sull’analisi dello “studio di impatto”, svelava i trucchi e gli inganni con cui la Commissione tentava di nascondere che l’insieme delle misure adottate avrebbe consentito un risparmio assai trascurabile delle emissioni. Unico motivo peraltro - quello del risparmio -  che avrebbe potuto giustificare l’invasività di alcune misure, il loro palese andar contro il principio di neutralità tecnologica. Si mostrava in quell’articolo che, isolando le misure più controverse e impattanti come i divieti per gli imballi monouso e gli obblighi quantitativi di riuso e riutilizzo, si sarebbe risparmiato un misero 0,08% delle emissioni totali dell’UE.

 

Il testo del Regolamento approvato

Dopo di allora, il testo fu sforbiciato in modo significativo dal Parlamento; per un problema tecnico, tuttavia, per l’approvazione definitiva si è dovuto attendere il cambio di legislatura, dando modo nel tempo intercorso di limarne ulteriori aspetti, fino a giungere al testo finale approvato nel dicembre 2024.

Il nuovo testo risente di un intenso lavorio ai fianchi, caratterizzato più dalla ricerca di norme ed eccezioni ad hoc che dal tentativo di risolverne alla radice le criticità. Le varie lobby hanno combattuto ciascuna per proprio conto, all’insegna del “si salvi chi può”. Ne risulta una disciplina difficile da decifrare negli effetti che potrà avere. L’unica certezza è che aumenterà, di molto, il fardello burocratico per produttori e utilizzatori finali.

 

Obiettivi e dettagli

Il fine del Regolamento è sicuramente encomiabile. In primo luogo, ridurre al minimo le sostanze pericolose che gli imballaggi contengono, dai metalli pesanti ai temutissimi PFAS. In secondo luogo, si mira ad assicurare la loro totale riciclabilità, in vista dell’ambizioso obiettivo di spingere sempre più in là il recupero di materia e di restringere ulteriormente l’impiego di forme di trattamento giudicate inferiori ai sensi della “gerarchia dei rifiuti”. In terzo luogo, ridurre all’origine i rifiuti da imballaggio, il flusso in maggiore crescita negli ultimi decenni, oggi pari al 36% del totale dei rifiuti urbani prodotti in Europa. Nell’ultimo quarto di secolo, il flusso è cresciuto del 30%. Infine, si afferma la volontà di eliminare le “barriere non tariffarie” alla libera circolazione dei beni, grazie a una maggiore standardizzazione: un obiettivo che non dovrebbe competere alla Dg Ambiente, ma tant’è.

Tutte intenzioni più che lodevoli. Tuttavia, come è noto, di buone intenzioni è spesso lastricata la strada per l’inferno, il cui padrone di casa ama nascondersi nei dettagli. E di dettagli quanto meno discutibili il Regolamento abbonda.

 

Divieti

Andando con ordine, il primo obiettivo viene perseguito dettando norme e standard sul contenuto di materiali inclusi nella lista nera delle “sostanze che destano preoccupazione”, che la Commissione si impegna a tenere costantemente aggiornata sulla base degli ultimi ritrovati della ricerca scientifica. Di alcune viene vietato senz’altro l’uso, di altre si richiede uno sforzo orientato alla minimizzazione. Il produttore di imballaggi è tenuto a documentare l’assenza di tali sostanze, ovvero a giustificarne l’uso nei casi in cui proprio non ne può fare a meno.

 

Riciclabilità

L’obiettivo della riciclabilità è affidato a una manovra a tenaglia che coinvolge sia il lato dell’offerta che quello della domanda.

Sul lato dell’offerta, si prescrive che ogni imballaggio immesso sul mercato dovrà essere riciclabile – laddove il significato preciso di “riciclabile” non si limita alla teorica possibilità di farlo, ma richiede che l’imballo sia appositamente progettato per consentirne il riciclo, che esso possa essere immesso in circuiti di raccolta selettiva senza che ciò pregiudichi la riciclabilità di altri flussi, e soprattutto che la riciclabilità sia dimostrata sul campo (“su scala”) dalla pratica effettiva. Per i materiali compositi, la riciclabilità deve essere garantita fin da subito per almeno il 70% in peso, frazione elevata a 80% a partire dal 2038. La norma disciplina nei particolari i criteri cui deve attenersi la progettazione (es. garantire la separabilità dei diversi componenti, anche in funzione delle tecniche di selezione applicabili; prevedere il modo di eliminare o separare piccole componenti, additivi, adesivi, etichette).

Viene poi prescritto che i contributi versati dalle imprese aderenti ai vari sistemi collettivi responsabili per il riciclo siano modulati in funzione del grado di riciclabilità, anche in modo da stimolare l’ingegno di scienziati dei materiali e designer.

Sul lato della domanda, si fissano standard minimi di contenuto di materia riciclata nei nuovi imballaggi in plastica, creando quindi una “domanda artificiale” per la plastica recuperata, attualmente penalizzata dal poco interesse finora mostrato dal mercato. Analoga prescrizione riguarda l’impiego di materie prime di origine biologica. Un’altra serie di prescrizioni è relativa all’obbligo di impiegare imballaggi compostabili in una vasta gamma di applicazioni.

 

Prevenzione

Quanto alla prevenzione, il Regolamento prevede un’ampia batteria di misure. Si mantiene innanzitutto l’obiettivo di riduzione complessiva del flusso (-30% entro il 2040, in termini pro-capite). Qualche margine di elasticità viene concesso, ad esempio, nei paesi che sperimentano un consistente aumento delle presenze turistiche, ai quali è concesso di modificare l’anno base rispetto al quale valutare l’obiettivo.

Viene ribadito il divieto di immettere sul mercato determinati tipi di imballaggio monouso. Il testo precedente demandava alla Commissione l’elaborazione e aggiornamento di una “lista di proscrizione” di imballaggi “non necessari”: ciò dava adito a molti dubbi in ragione della discrezionalità con cui la Commissione avrebbe stabilito cosa è e cosa non è necessario. Il nuovo testo ribadisce il divieto di immettere sul mercato determinati tipi di imballaggio, ma viene stabilita una lista precisa che include quasi esclusivamente gli imballi monouso in plastica; la Commissione si riserva di integrare la lista dopo sette anni qualora nuovi ritrovati tecnologici facciano emergere ulteriori criticità.

Per tutti gli imballaggi viene stabilito l’obbligo di garantire che essi non contengano spazi vuoti, doppi fondi, intercapedini e simile, con il divieto di utilizzo di imballaggi con spazi vuoti superiori al 50% del volume utile; si rasenta il teatro dell’assurdo quando si entra in particolari atti a stabilire cosa sia da intendersi per spazio vuoto, essendoci aria e aria:  è considerato spazio vuoto, ad esempio, quello riempito di intercapedini antiurto, ma non “l’aria tra i prodotti alimentari imballati o al loro interno o i gas protettivi” (vuol dire che l’aria contenuta nel singolo rigatone all’interno di in una scatola di rigatoni non va conteggiata, e nemmeno le bolle d’aria dentro le fette biscottate).

 

Riuso

Gli obiettivi di riuso sono rivisti significativamente verso il basso. Permane l’obbligo per il produttore di offrire l’opzione dell’imballaggio restituibile e/o di utilizzare quello di proprietà del cliente per la vendita al dettaglio di cibi e bevande da asporto, il target fissato si ferma al 10% di imballaggi riutilizzati entro il 2030 (era 40-80% nella precedente versione).

Obblighi più stringenti permangono per alcuni imballaggi secondari e terziari e per i pallet (almeno il 70% entro il 2040); obbligo per i punti vendita di predisporre punti attrezzati per la riconsegna su almeno il 10% della superficie destinata all’esposizione della merce. Viene in compenso esentato il cartone. Si prevede inoltre la possibilità di sospendere tali obblighi se il paese supera almeno del 5% gli obiettivi minimi di riciclo o è “sulla buona strada” per conseguire gli obiettivi di riduzione complessiva dei rifiuti da imballaggio.

Cadono, in compenso, in buona parte gli obblighi relativi agli operatori della ristorazione (HORECA), ai quali viene solo vietato l’impiego di imballaggi monouso in plastica (le temutissime bustine di salsa di soia del ristorante cinese e le boccette di shampoo degli hotel, vera e propria ossessione dei funzionari di Bruxelles) e imposto l’obbligo di consentire al cliente di usare propri contenitori o di richiedere l’uso di contenitori riutilizzabili.

Viene previsto l’obbligo di istituire depositi cauzionali per i contenitori per liquidi, ma solo se in plastica o in metallo (non in vetro, chissà perché) e solo se prevedono l’asporto. Vengono stabilite norme molto analitiche sull’etichettatura, che dovrà fornire dettagliate informazioni sulla composizione dell’imballaggio, sul contenuto di riciclato, sulla presenza di sostanze indesiderate; si ipotizza che ciascun gestore, interfacciandosi con i relativi codici a barre, potrà indirizzare gli utenti ai canali di raccolta specificamente organizzati per quel materiale.

Vengono posti a carico delle imprese gli obblighi di produrre un’adeguata documentazione comprovante il rispetto delle norme tecniche e gli adempimenti relativi alla messa in opera dei sistemi di restituzione o di refilling. In pratica, l’immissione sul mercato di un imballaggio richiederà, per ottenere il via libera dal severo censore comunitario, che questo sia dotato di una “carta di identità” in grado di attestare puntualmente il rispetto delle norme, ovvero di possedere i requisiti per potersene chiamare fuori. Ulteriori forme di reporting a carico di produttori di imballaggi e di filler ambiscono a rendere tracciabile il percorso dell’imballaggio attraverso le varie fasi di trattamento.

 

Deroghe

Fin qui, le novità rispetto al testo originario sono poche. La vera novità sta nel sistema di deroghe, per lo più ad hoc, sulla cui introduzione si è concentrato il pressing da parte delle varie lobbies.

I target di contenuto minimo di materiale riciclato potranno essere derogati in caso di indisponibilità o prezzo eccessivamente elevato del prodotto riciclato con le caratteristiche richieste.

Gli obblighi relativi alla messa in opera di sistemi di deposito cauzionale, per esempio, non saranno cogenti per quelle frazioni la cui raccolta differenziata supera l’80% di raccolta differenziata.

Il bando agli imballaggi monouso riguarda l’uso della plastica per porzioni inferiori a 1,5 kg. Il Regolamento si dilunga in una puntigliosa lista, ma poi il bando viene cancellato per tutti i casi in cui l’imballaggio serve a prevenire il deterioramento del prodotto (compito per casa per il lettore: si elenchi qualche prodotto ortofrutticolo fresco, a parte forse frutta e legumi secchi, che non si deteriori se lasciato all’aria aperta per il tempo altrimenti necessario a consumarne un chilo e mezzo).

Dagli obiettivi di riuso per gli imballaggi primari vengono esentati quelli in cartone; si prevede peraltro la possibilità di sospendere del tutto questo target se il paese supera almeno del 5% gli obiettivi minimi di riciclo.

L’obbligo di istituire forme di deposito cauzionale può essere derogato per quelle frazioni la cui raccolta differenziata si mantiene superiore all’80%.

 

Conclusioni

Come si vede, la partita alla fine si chiude senza vincitori né vinti. La forsennata caccia dell’ultima ora all’emendamento ad hoc ha permesso a ciascuno di portare a casa quello che voleva, complice anche lo sfilacciamento della “maggioranza Ursula” che aveva compattamente sostenuto il nuovo Regolamento nella passata legislatura. La norma resta apparentemente intatta, con tutti i suoi buoni propositi di salvare il pianeta dall’invasione dei contenitori inutili, ma tante e tali sono le eccezioni che, nei fatti, molte prescrizioni sono svuotate di contenuto.

Rimane il retrogusto talebano di una norma che pretende di mettere le mutande al mondo, con toni millenaristici, pur incidendo sulle emissioni totali (che è quanto dovrebbe stare a cuore alla DG Ambiente) per poco più di un’inezia (per essere precisi, lo 0,08% di emissioni totali in meno alla scala europea, come ho mostrato in uno studio pubblicato nel 2024[1]).

Rimangono i dubbi di natura “costituzionale”: si fanno polpette del principio di neutralità tecnologica, affermando in modo acritico un modello unico che dovrebbe andar bene dalla Lapponia fino a Lampedusa, accanendosi in modo particolare contro la plastica, senza che siano ben chiari i benefici, soprattutto ambientali, anzi essendo ben chiaro che questi, se ci saranno, saranno soggetti a molti se e molti ma, varranno in molti casi ma non sempre, e soprattutto dipenderanno da un insieme di circostanze e parametri, per esempio dalle distanze che gli imballi riutilizzabili dovranno percorrere per poter essere effettivamente riutilizzati. Uno studio da noi recentemente condotto con il metodo della LCA per il trasporto dei grandi elettrodomestici mostra ad esempio che i benefici del riuso scompaiono se la distanza tra il punto di consegna al consumatore e lo stabilimento è superiore a qualche centinaio di km[2].

Rimane il cumulo di scartoffie che ogni produttore dovrà compilare per attestare l’applicabilità dell’eccezione al suo caso, ma anche per dimostrare di aver rispettato le norme e indurre l’occhiuto censore di Bruxelles a concedere il sospirato imballatur.

Rimarranno le borraccette per l’acqua, che mamme solerti riempiranno tutte le mattine di acqua minerale (travasata dalle bottiglie di plastica restituibili) per tutelare la salute dei loro pargoli prima di mandarli a scuola.

Rimane la crociata contro quei capri espiatori che da sempre sono l’ossessione della Commissione, tanto da essere menzionati ogniqualvolta c’è da fare un esempio: la bustina di salsa di soia del takeway cinese, la boccettina dello shampoo degli alberghi, i tappi delle bottiglie.

Rimane il tabù della “gerarchia dei rifiuti”, la presunzione tetragona e dogmatica della superiorità del riuso-riutilizzo sul riciclo, e di quest’ultimo sul recupero energetico, sempre e in ogni dove, anche contro l’evidenza dei molti studi che dimostrano, se non la fallacia, la problematicità di questo assunto.

Rimane un aggregato di norme tenuto insieme più dal furore ideologico e da un atto di fede che dall’analisi logica e dall’evidenza scientifica.

Teniamoci quel po’ di buono che comunque c’è: il divieto di utilizzo di sostanze pericolose, lo stimolo all’impiego di materiale riciclato, l’apertura verso le bioplastiche e le plastiche compostabili, materiali di cui l’Europa potrebbe conquistare la leadership a livello globale. Teniamoci l’etichettatura standardizzata, la prescrizione che ogni imballo sia costituito da materiali riciclabili. Teniamoci il probabile stimolo che l’industria riceverà nella messa a punto di nuovi materiali e nuovi modelli di vendita e canali di marketing. Forse si contribuirà a salvare il pianeta, forse il pianeta non se ne accorgerà nemmeno. Ma sicuramente daremo lavoro a eserciti di consulenti e funzionari.

 
NOTE


[1] A.Massarutto, 2024, “Non è tutto tondo ciò che è circolare. Un’analisi del nuovo Regolamento europeo sugli imballaggi e delle sue implicazioni per la politica industriale”, L’Industria, 44(3)

[2] F.Corsini, M.Fundoni, A.Massarutto, M.Niero, F.Rossi, 2025, Comparative Life Cycle Assessment (LCA) of Recyclable and Reusable Packaging for Home Appliances, mimeo, Sustainability and Climate International Research Center, Scuola Superiore Sant’Anna, Pisa