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2024-03-19 05:23

Un Tram Chiamato Desiderio

INVESTIMENTI NELLA MOBILITA’ URBANA COLLETTIVA

di: 
Marco Talluri

La mobilità è senza dubbio una delle componenti che determinano la qualità della vita delle nostre città, non solo perché il trasporto è una importante fonte di inquinamento atmosferico ed acustico, ma anche perché la congestione del traffico, i tempi degli spostamenti, lo stress ed i rischi derivanti da mobilità caotica incidono fortemente sulla nostra vita quotidiana.

Come per altri problemi sociali, anche per la mobilità urbana non esiste una sola soluzione, come se si disponesse della bacchetta magica di Mago Merlino o Harry Potter. Non bisogna mai credere agli imbonitori che assicurano di avere in tasca “La soluzione”. I problemi sociali sono complessi e richiedono soluzioni complesse. La mobilità delle nostre città non fa certo eccezione.

La maggior parte delle aree urbane italiane ha origine nel Medioevo, con centri storici caratterizzati da strade strette e tortuose. In ogni caso, occorre sempre partire dalla consapevolezza che gli spazi per la mobilità e per la sosta sono “finiti”, limitati, quindi è indispensabile pianificarli, regolarli, gestirli. Non è possibile non governare la mobilità e la sosta, lasciando che si crei una “giungla” del traffico, senza regole, in cui prevalgano i prepotenti. L’istantanea del suv fermo in doppia fila con il motore acceso davanti ad una scuola è la quintessenza dell’idea di città da cui fuggire.

Per muoversi nelle nostre città si possono utilizzare autoveicoli, motoveicoli, biciclette, monopattini (tutte forme di trasporto individuale, che può essere anche condiviso) oppure con mezzi di trasporto collettivo, di vario tipo: ferrovia, metropolitana, tranvia, autobus (con vari tipi di trazione); e poi, infine, esiste anche la mobilità pedonale, la forma più antica di spostamento.

Ebbene, in una città – nella quale gli spazi da dedicare alla mobilità – sono limitati, è fondamentale che questi siano organizzati e regolati, in modo razionale.

Questo significa abbandonare definitivamente l’idea che le città debbano essere a misura d’auto, come è accaduto per decenni nel secolo scorso. Dagli anni sessanta del secolo scorso, l’auto è diventata il centro della nostra vita quotidiana – il modello culturale prevalente, sia quando era in movimento che per la sosta. Una immagine satellitare di quegli anni ci mostrerebbe una distesa di auto ferme o in movimento che occupavano tutti gli spazi disponibili. L’idea “forte” di quegli anni era che i mezzi di trasporto a motore su gomma incarnavano la “libertà” di muoversi senza vincoli permettendoci di raggiungere qualsiasi mèta.

I quotidiani, alla fine degli anni Cinquanta salutavano in tal modo la conclusione dello smantellamento delle reti tranviarie che sino ad allora erano diffuse un po’ ovunque. L’autobus su gomma con il motore diesel era il simbolo di questo “spirito libero”. Solo molto tempo dopo si è iniziato a capire che quella scelta probabilmente era sbagliata, quando le nostre città erano soffocate dall’inquinamento.

Ma, ripeto, non esiste una soluzione sola per risolvere i problemi della mobilità, occorre che a ciascuna tipologia di spostamento, a ciascun mezzo di trasporto sia assegnato uno spazio in una logica che sia di complementarità.

Ancora oggi si registra una massiva presenza di veicoli a motore circolanti nelle nostre città, che si riflette nella congestione del traffico e nelle superfici stradali occupate dai mezzi: oltre 7mila veicoli per kmq urbanizzato a Napoli e Bolzano, oltre 6mila ad Andria, Milano, Palermo, Foggia, Torino e Barletta. Una situazione non molto migliore in altri 8 comuni con più di 5mila veicoli e 20 con più di 4mila veicoli per kmq. A Catania circolano 1.001 auto e motocicli per 1.000 abitanti, cioè in media ogni persona ha un veicolo, compresi i neonati e gli ultraottuagenari! Ci sono ben nove comuni (Agrigento, Aosta, Imperia, Viterbo, Siracusa, Pesaro, Ragusa, Siena e Frosinone) dove questo rapporto e superiore a 9 veicoli per 10 abitanti. Molti di più, 40, i comuni dove i veicoli per 10 abitanti sono più di 8, quasi una media di un mezzo motorizzato pro-capite, escludendo chi proprio non può utilizzarli.

Da qui occorre partire per capire cosa è necessario fare.

La qualità dell’aria delle nostre città nel tempo è senza dubbio migliorata, e questo in gran parte è dovuto al ricambio del parco veicolare privato, in quanto le auto e le moto più recenti hanno livelli di emissioni inquinanti molto più ridotti. Tuttavia, va sottolineato come la composizione del parco veicolare, in relazione alla conformità alle classi ambientali “Euro”, è molto differenziata nel nostro Paese.

Ci sono città (Napoli e Catania) dove le autovetture (euro 0,1,2,3) che producono livelli inquinanti maggiori costituiscono oltre il 50% dei mezzi circolanti, ma in altri 13 comuni la percentuale è comunque molto elevata, oltre il 40%. Questo naturalmente ha il suo peso nel decidere limitazioni al traffico veicolare. D’altra parte, le auto Euro 4 sono comunque di mezzi con più di dieci anni di vita, mentre la categoria delle auto Euro 5 include tutte quelle vetture con anno di immatricolazione che va dal 2011 al 2015. In definitiva possiamo considerare solamente i veicoli Euro 6 con un livello emissivo, se non ottimale, almeno accettabile, ma le autovetture circolanti di questo tipo sono più di un terzo solamente in 5 città su 109: Bolzano, Trento, Aosta, Torino e Prato.

Pertanto, il rinnovo del parco veicolare privato circolante è un ambito ancora importante su cui investire.

Comunque, in primo luogo, in relazione alla dimensione delle città, occorre un sistema di trasporto collettivo che assicuri la quantità prevalenti di spostamenti sistematici, rendendo possibile non utilizzare i mezzi privati per recarsi a lavoro e scuola.

Per le aree urbane più grandi (Milano, Roma, Torino, Napoli) un ruolo determinante è destinato alle reti di metropolitana, su cui però abbiamo un deficit notevole rispetto ad altre città europee di analoghe dimensioni. In Italia ci sono meno di 200 km di metropolitana, soprattutto nelle due grandi metropoli (Milano e Roma). In Francia ci sono 25 linee di metropolitana (di cui 14 a Parigi) per una estensione di quasi 350 chilometri (214 a Parigi). Da segnalare il metrò di Lille, che utilizza la tecnologia Véhicule Automatique Léger, una metropolitana costituita da piccoli treni leggeri che funzionano in modo completamente automatico senza bisogno di conduttore. Lo stesso sistema è stato adottato anche a Torino.

Sia nelle grandi metropoli che nelle città medio grandi l’altro sistema di trasporto collettivo non inquinante indispensabile è il tram. In Italia ci sono 355 chilometri di linee tranviarie, 250 delle quali solamente a Milano e Torino.

In 24 città francesi con più di 100.000 abitanti sono presenti 77 linee tranviarie su ferro per quasi 900 chilometri di estensione. A queste si aggiungono le città con sistemi di tram su gomma a percorso vincolato (in Italia presente a Padova). In alcuni casi sono presenti "tram-treno", un sistema cioè, effettuato con veicoli tranviari che percorrono anche percorsi ferroviari locali (grazie ad accorgimenti tecnologici) per ottenere maggiore flessibilità e convenienza adattando la velocità al tipo di percorso.

In generale si può dire che una rete tranviaria che assicuri gli spostamenti all'interno di un'area urbana con percorsi in sede protetta, riservata cioè esclusivamente al tram, al fine di diminuire e rendere certi i tempi di percorrenza e mantenere ad elevati livelli la regolarità del servizio, garantisca una buona rapidità nei collegamenti, una discreta comodità a bordo ed anche una intensità di servizio adeguata, possiede tutti i principali requisiti che un utente richiede per poter usufruire del trasporto pubblico, che diventa così una alternativa vera e possibile, non inquinante, al trasporto privato.

D’altra parte, la scelta di realizzare reti tranviarie comporta anche necessariamente una riorganizzazione degli spazi, in quanto le tranvie in sede protetta “sottraggono” spazio al trasporto privato, e possono essere l’occasione di interventi più ampi (ad esempio di realizzazione di piste ciclabili, aree pedonali, ecc.).

Il questo ambito il PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) prevede un investimento di 3,6 miliardi di euro per lo sviluppo del trasporto rapido di massa: “La misura prevede la realizzazione di 240 km di rete attrezzata per le infrastrutture del trasporto rapido di massa suddivise in metro (11 km), tram (85 km), filovie (120 km), funivie (15 km). Il focus dell’intervento sarà principalmente sulle aree metropolitane delle maggiori città italiane. L’obiettivo è ottenere uno spostamento di almeno il 10 per cento del traffico su auto private verso il sistema di trasporto pubblico”.

Il trasporto collettivo però non può esaurirsi alle reti di metropolitane e tranvie, indispensabili e da estendersi, che possono garantire gli spostamenti sulle direttrici principali, ma devono essere completate da servizi di autobus su gomma.

In questo caso l’impegno deve essere rivolto all’utilizzo di mezzi meno inquinanti.

In tutte le 109 città capoluogo sono presenti servizi di trasporto pubblico che utilizzano gli autobus, complessivamente oltre 13.600 mezzi con un dato nazionale di circa 75 autobus ogni 100mila abitanti.

Il problema, in questo caso, è però la vetustà di questi mezzi e quindi le loro caratteristiche inquinanti. Il 41% degli autobus circolanti rientra in una categoria Euro 4 o inferiore e quasi il 35% in quella Euro 5, mentre l'Euro 6 - obbligatoria dal 1° gennaio 2013 - è relativa a meno di un quarto del parco mezzi circolante. Evidentemente molti degli autobus che viaggiano nelle nostre città hanno ben più della media europea di 7 anni di vita. La quasi totalità è alimentata a gasolio con motorizzazioni significativamente inquinanti.

Ad esempio, a Roma solamente l'11% di un parco autobus di quasi 2.400 mezzi è di categoria Euro 6, ed anche a Milano questa percentuale è limitata al 24% degli autobus circolanti. Una percentuale analoga a quella nazionale relativa a tutte le 109 città capoluogo. Fra le città che hanno un parco autobus consistente (>300), il maggior numero di autobus meno inquinanti si rileva a Bologna (64%), Firenze (43%), Torino (38%).

Un capitolo a parte è quello degli autobus a basse emissioni. ISTAT nei dati che rende disponibili considera in questa categoria gli autobus elettrici (ibridi o a trazione elettrica integrale, inclusi quelli alimentati a idrogeno con tecnologia a celle di combustibile) e gli autobus alimentati a gas (con motore bi-fuel benzina/metano o benzina/Gpl).

Complessivamente si tratta di 3.500 autobus, circa il 26% dell'intero parco circolante. Prevalentemente (92,8%) si tratta di mezzi a metano e/o gpl, e solo nel 7,2% dei casi elettrici o ibridi/elettrici. In ogni caso una situazione che riguarda solamente 75 dei 109 comuni, ed in alcuni casi con un numero di mezzi molto ridotto. Anche in questo caso la strada da percorrere per avere tutti i mezzi circolanti a basse emissioni è ancora tanta.

Il PNRR prevede un investimento importante nell'ordine di 1,2 miliardi di euro per "Il rinnovo della flotta con autobus a basso impatto ambientale avviene accelerando l’attuazione del Piano Strategico Nazionale per la Mobilità Sostenibile e prevede il progressivo rinnovo degli autobus per il trasporto pubblico locale e la realizzazione di infrastrutture di ricarica dedicate. In particolare, è previsto l’acquisto entro il 2026 di circa 3.360 bus a basse emissioni."

Un terzo filone di intervento è quello relativo alla cosiddetta “mobilità dolce”, cioè quella assicurata usando biciclette o in modo pedonale.

Complessivamente nei 109 comuni capoluogo erano presenti (al 2018) 4.568 chilometri di piste ciclabili e meno di 8 kmq di aree pedonali. In termini di densità significa 23,4 km di piste ciclabili ogni 100 kmq di superficie territoriale e 42,7 metri quadrati ogni 100 abitanti. Per quanto riguarda i veicoli, invece, la densità (dati 2019) è di 771 ogni 100 kmq e di 762 ogni 1000 abitanti.

Appare chiaro come la mobilità motorizzata sia assolutamente prevalente su quella "dolce" e come - se vogliamo parlare di mobilità sostenibile - sia indispensabile un cambiamento radicale nelle scelte operate, sia in termini di governo/amministrazione che di comportamenti individuali.

Analizzando i dati delle singole città capoluogo vediamo che le maggiori estensioni di piste ciclabili si trovano nelle città dell'Emilia-Romagna (Reggio Emilia, Modena e Ferrara) e nelle metropoli (Roma, Milano e Torino); tuttavia questa "classifica" muta sensibilmente considerando invece la densità di piste ciclabili, cioè mettendo in relazione la loro estensione con la superficie del comune. In questo caso troviamo ai primi posti Padova, Brescia, Mantova e Torino.

Ovviamente questi numeri non ci dicono niente sulla "qualità" delle piste ciclabili esistenti, cioè se sono realizzate in una logica di rete funzionale, ben attrezzate (illuminazione) e manutenute, ovvero se si tratta di "pezzi" di piste ciclabili non interconnesse e senza garantirne il mantenimento in modo adeguato.

Per quanto riguarda invece le aree pedonali, queste - in termini di assoluti di superfici vedono Milano di gran lunga al primo posto con 0,7 kmq, seguita da Torino, Napoli, Firenze, Roma e Palermo, distanti tutte le altre città. In termini di densità, però, cioè di superficie messa in relazione con la popolazione, svetta Venezia, mentre fra le grandi città sopra indicate, la prima risulta Firenze.

Questi numeri evidenziano chiaramente che l’obiettivo di rendere più vivibili le nostre città nel campo della mobilità comporta interventi importanti sul versante della estensione delle aree pedonalizzate e della realizzazione di percorsi ciclabili. A questo proposito va detto che è auspicabile (in termini sia di sicurezza che di funzionalità) una decisa separazione fra le strade percorse dai veicoli a motore ed i percorsi pedonali, anche destinando a questi specifiche strade.

In conclusione, qualche considerazione sugli aspetti politici delle decisioni.

Realizzare progetti incisivi sulla mobilità delle aree urbane richiede necessariamente una visione ed orizzonti di medio-lungo periodo, in quanto gli interventi necessari richiedono investimenti economici importanti e tempi di attuazione non brevi.

Questo rende difficili gli interventi, in una situazione nella quale gli amministratori locali operano prevalentemente in una logica di breve periodo, legata al proprio mandato elettorale, se non addirittura con modalità influenzate in modo “ossessivo” dal consenso immediato misurato con i like ai tweet o i “mi piace” sui post.

Il consenso immediato su questi temi (ma anche su altri) non è un buon consigliere. Ricordo quando l’allora assessore al traffico del Comune di Firenze, Graziano Cioni, impose la pedonalizzazione di via dei Calzaiuoli – che collega il Duomo con Piazza Signoria – scontrandosi duramente con i commercianti della zona che evocavano disastri per i loro affari. Provate oggi a dir loro di far tornare il traffico in quella strada...

D’altra parte, a Firenze – una città nella quale negli anni ’30 c’erano circa 220 km di linee tranviarie, il cui smantellamento fu completato alla fine degli anni Cinquanta - è stata compiuta, fra tanti contrasti una scelta decisa nel senso della realizzazione di una rete tranviaria, che sinora ha prodotto due linee per quasi 17 chilometri di percorso, ma sono in realizzazione/progettazione altre linee. Complessivamente, quando saranno completati tutti i nuovi tratti previsti, la rete tranviaria fiorentina avrà una estensione di tutto rispetto di circa quaranta chilometri.

Complessivamente le due linee di tranvia realizzate già trasportano oltre 35 milioni di passeggeri l’anno (dati 2019) da confrontare con i passeggeri dell’intera rete ATAF del 2009 (quasi 700 km), che erano in tutto circa 85 milioni. È indubbio che il servizio di trasporto pubblico su tram abbia determinato uno spostamento modale nei comportamenti dei fiorentini, ed anche dei visitatori della città, e ciò non può non aver prodotto una riduzione del traffico veicolare privato.

La prima linea del nuovo tram di Firenze ha visto la luce nel febbraio 2010, al culmine di una storia lunga e controversa iniziata a metà degli anni Ottanta del secolo scorso. Si tratta di una vicenda che ha coinvolto almeno cinque sindaci della città, ma che sta continuando e rappresenta un esempio positivo di come è possibile incidere concretamente sulla mobilità cittadina.