REWIND. CONOSCERE PER PREVENIRE
Modificato e integrato da Leonello Serva da: Amici della Terra e ISAT, “Rischi naturali, conoscere per prevenire”, Roma 2006
Tra i vulcani italiani non possiamo dimenticare, vista la sua imponenza e la notorietà, l’Etna, il vulcano attivo per eccellenza. L’Etna è il più grande vulcano attivo subaereo europeo (di quelli sottomarini ne parleremo in un prossimo numero).
Il vulcano si colloca nella zona di convergenza tra la placca africana e quella euroasiatica ed in corrispondenza del sistema di faglie che bordano la parte orientale della Sicilia (la famosa scarpata Ibleo-Maltese, che produce i forti terremoti della Sicilia orientale di cui abbiamo parlato precedentemente su questa newsletter)). La genesi del vulcano ricade quindi in un complicato ambiente geodinamico il cui tentativo di interpretazione ha dato origine all’elaborazione di diversi modelli, a volte contrastanti tra loro.
La forma del vulcano è complessa e deriva dalla sovrapposizione di edifici vulcanici attivi in tempi diversi, dai quali sono fuoriuscite enormi quantità di magma. Ogni edificio ha avuto una propria storia vulcanologica conclusasi spesso con collassi parziali che hanno originato strutture calderiche, la più nota delle quali è quella della Valle del Bove. L’assetto morfologico è ulteriormente complicato dalla presenza, sui fianchi, di centinaia di coni piroclastici minori (con altezze da poche decine a qualche centinaio di metri) spesso allineati lungo fratture.
L’attività nell’area etnea è iniziata circa mezzo milione di anni fa con eruzioni in zone sottomarine e costiere che portarono all’emersione della costa a nord di Catania (Acicastello, Acitrezza) e furono seguite da un altro episodio analogo circa 0,3 milioni di anni fa nella zona sudoccidentale dell’Etna. A partire da circa 170 mila anni fa, si formarono numerosi centri eruttivi e probabilmente il primo edificio principale dell’Etna (Etna antico).In seguito i magmi divennero più complessi, portando ad un vulcanismo moderatamente esplosivo e alla creazione di una serie di edifici vulcanici che alternavano prodotti effusivi e piroclastici e presero il nome di Trifoglietto. Un’altra serie di edifici vulcanici principali nacque, e fu parzialmente distrutta dal collasso della caldera durante la fase del Mongibello, che è solitamente suddivisa in Antico e Moderno Mongibello. La Figura 1 schematizza queste fasi.
Figura 1. Schema dell’evoluzione dell’apparato etneo. Dall’alto verso il basso: genesi dei primi centri eruttivi, cui segue la creazione del Trifoglietto (vulcano a scudo) e successivamente quella del Mongibello (stratovulcano asimmetrico). Fonte: ISAT
Attualmente il vulcano si trova in condizioni di condotto aperto (Figura 2) che unitamente alla bassa viscosità dei magmi determina modalità eruttive piuttosto diversificate ma senza caratteri di estrema violenza.
Figura 2. I crateri sommitali dell’Etna. Fonte: Protezione Civile.
I tipi di attività più comuni sono quella stromboliana, con moderata esplosività e fontane di lava, e quella hawaiana, con fuoriuscita di imponenti colate laviche. Nel corso della sua evoluzione il vulcano ha sperimentato anche eruzioni a grande esplosività (eruzioni pliniane o subpliniane, l’ultima delle quali risale al 122 d.C.), che sono però da escludere a breve termine a meno di poco probabili ostruzioni dei condotti. Tale tipo di attività difficilmente determina la perdita di vite umane poiché, generalmente, le aree raggiunte dalla caduta di lapidei sono limitate all’intorno del centro eruttivo e le colate laviche, sebbene imponenti, si muovono a velocità tale da permettere l’evacuazione delle aree interessate.
Pericolosa è comunque la permanenza in prossimità dei centri in eruzione, come dimostrato dal fatto che dal 1500 ad oggi le cronache riportano 73 vittime legate direttamente all’attività etnea e quasi tutte dovute ad improvvise esplosioni freatiche. Diverso è ovviamente il discorso riguardo alla perdita di beni economici,che può essere totale e particolarmente gravosa nel caso di fuoriuscita di magma da fratture laterali poste a bassa quota in aree densamente popolate, come quelle nei dintorni di Catania. La più recente eruzione laterale a bassa quota risale al 1669 con colate laviche che arrivarono a mare distruggendo parzialmente Catania e molti dei centri limitrofi. Poiché la nascita dei centri eruttivi è preceduta da una serie di segnali premonitori (terremoti, sollevamenti del suolo, ecc..), l’attuale sistema di sorveglianza del vulcano dovrebbe permettere di riconoscere con anticipo la nascita del nuovo centro.
Degno di nota particolare, in merito agli effetti collaterali del vulcanesimo etneo, è il comportamento della faglia Pernicana (Fig. 3).
Figura 3. In giallo, le faglie capaci di produrre rotture del terreno nell’area Etnea. In alto la faglia Pernicana, contrassegnata anche da due stelle che indicano i luoghi delle foto che seguono. Fonte: Leonello Serva
Questa struttura tettonico gravitativa rappresenta il bordo settentrionale di un enorme scivolamento verso mare della parte orientale del vulcano che provoca (con un rischio esponenzialmente crescente):
- Danneggiamenti della rete viaria nelle zone di attraversamento della faglia (Fig. 4 ) Le strisce bianche evidenziano la dislocazione avvenuta dal giorno del loro tracciamento a quello della foto. Si noti il rigetto maggiore del muro che borda la strada, dovuto al maggior lasso di tempo intercorso.
Figura 4. Foto: Eutizio Vittori
- danneggiamenti a importanti opere quali quelli sul viadotto dell’autostrada Messina-Catania nei pressi di Fiumefreddo (Figg. 5, 6 e 7). Degno di nota è il fatto che esso continua ad essere riparato come se fossimo in presenza di una normale frana, mentre invece siamo in presenza di una frana di enormi dimensioni in orizzontale ed in verticale, che non è stabilizzabile. Sarebbe quindi il caso di inventarsi soluzioni alternative e meno onerose per le casse dello Stato nel lungo termine;
Figura 5. Particolare dl danneggiamento del viadotto. Foto: Leonello Serva
Fig. 6. Particolare dl danneggiamento del viadotto. Foto: Leonello Serva
Fig. 7. Particolare dl danneggiamento del viadotto. Foto: Leonello Serva
- possibilità di formazione di tsunami di enormi dimensioni che potrebbero interessare l’intero bacino mediterraneo orientale, come ipotizzato da alcuni autori che hanno ricostruito su base geomorfologica (formazione della Valle di Bove) e geofisica anche collassi istantanei di questo enorme volume di terreni (www.cataniacultura.com/120tsunami.htm)